Controllare gli usi linguistici, vietare i forestierismi, imporre dall’alto parole e costrutti: il Fascismo ci provò con determinazione, ma la storia ha confermato la vitalità e mobilità della lingua. Valeria Della Valle, curatrice di un documentario appena presentato a Venezia, racconta questo pezzo di storia.
Settembre 2014
Valeria Della Valle (Università di Roma "La Sapienza")
In molti – nelle pagine dei giornali, nei siti e nella rete – invocano da anni una politica linguistica di difesa della lingua italiana. Si tratta di intenzioni in sé lodevoli, che dimostrano un attaccamento alla nostra lingua sentita come vincolo, come patrimonio nazionale. Di fronte a questa richiesta a più voci nascono dubbi, discussioni e polemiche. Per quanto mi riguarda, ho cercato di affrontare il problema da lontano, risalendo alla storia dell’unico esperimento attuato in Italia in tale direzione. Perché raccontare, oggi, attraverso un documentario (Me ne frego! Il Fascismo e la lingua italiana, Luce) quel tipo di politica e di provvedimenti? Prima di tutto, per far conoscere alle nuove generazioni un pezzo di storia meno noto, che rischia di essere dimenticato, divulgandolo attraverso le immagini e i filmati d’archivio che documentano quelle iniziative e quei decreti. Poi, per spiegare a chi chiede interventi dall’alto che la lingua italiana non può essere imposta, e che il suo andamento non può dipendere dalle decisioni di un’istituzione o di un’autorità.
Chi pretende che istituzioni come l’Accademia della Crusca si facciano carico di direttive linguistiche da impartire agli italiani non si rende conto che quest’operazione è impossibile e antistorica. Tutto il faticoso percorso compiuto dall’italiano per diventare lingua della nazione sta a dimostrare che la nostra lingua, come tutte le lingue, non è un organismo immobile, ma in movimento, che possiede una capacità di autoregolazione Sono certamente fastidiosi gli inutili forestierismi che caratterizzano lo scritto e il parlato degli italiani, ma questa tendenza diffusa non sarebbe in alcun modo modificata se ci fossero divieti o addirittura tasse sull’uso delle parole straniere, come durante il Fascismo. Del resto anche la lingua francese, pur difesa da una legge apposita (la legge Toubon del 1994) è “inquinata” dall’inglese: nelle strade di Parigi i nomi dei negozi e le pubblicità affisse ai muri parlano inglese, e il franglais è diffusissimo. Proprio la storia vissuta dagli italiani nel ventennio dovrebbe insegnare che la lingua non può essere imbrigliata o obbligata attraverso leggi o divieti. Che cosa ci insegna quell’esperienza? Delle battaglie linguistiche intraprese dal regime, l’unica che gli italiani più anziani ricordano ancora è quella combattuta contro il pronome lei, sostituito d’autorità nel 1938 con il tu o con il voi, considerato più “romano”: la campagna per il voi obbligatorio era stata condotta da alcuni giornalisti e intellettuali e soprattutto dal gerarca Achille Starace. Il lei come pronome allocutivo era bandito perché considerato «femmineo» e «straniero» (in realtà era una forma italianissima in uso fin dal ‘500). Gli italiani continuarono a usare, privatamente, il lei, e molti, pur di non passare al voi, scelsero di darsi del tu. Il pronome imposto era usato solo nelle occasioni ufficiali, nella stampa, nei libri di testo, nelle commedie, nei film italiani e in quelli doppiati, in cui era obbligatorio.
A distanza di quasi settant’anni dalla fine del fascismo ci si può chiedere che cosa sia rimasto del tentativo di politica linguistica orchestrato dal regime. Poco, quasi nulla. L’alfabetizzazione e l’unificazione linguistica degli italiani sono rimasti problemi drammatici da affrontare nel dopoguerra, risolti in parte solo con l’avvento della televisione e con l’aumento della scolarizzazione, che ha fatto diventare finalmente l’italiano “lingua di tutti”; le parole straniere non sono state certo debellate da decreti legge; le minoranze linguistiche hanno reagito con insofferenza ai provvedimenti di regime; i dialetti continuano a essere usati (per fortuna) come lingua degli affetti e delle origini familiari, nei film, nelle canzoni, nella poesia (ma non ha senso insegnarli a scuola, come purtroppo si fa in qualche centro del nord); il pronome lei ha ripreso il suo posto, e il voi è usato solo nell’italiano regionale del sud. Quale migliore dimostrazione dell’inutilità di provvedimenti protezionistici diramati da accademie o istituzioni culturali? Le accademie, le istituzioni non possono imporre ai cittadini come devono parlare: possono suggerire soluzioni, spiegare fenomeni, raccontare come una certa abitudine si è diffusa e perché un certo errore è tanto diffuso.
Se i dati statistici di cui disponiamo documentano una situazione pericolosa di crescente analfabetismo di ritorno, se un gran numero di italiani ha difficoltà a capire il significato di molte parole e a interpretare anche brani semplici, se a ogni concorso si verifica l’incapacità a scrivere in modo corretto di tanti laureati, la soluzione va cercata altrove: la lingua italiana non si tutela con provvedimenti legislativi o decreti, e tanto meno con consigli superiori, ma promuovendo la cultura e l’insegnamento dell’italiano nella scuola, con iniziative concrete di formazione e di aggiornamento degli insegnanti nel campo della linguistica italiana e delle scienze del linguaggio, e contrastando il monolinguismo anglofono nell’insegnamento delle discipline scientifiche nelle università. In quest’ultimo caso l’opposizione alla lingua inglese non è dovuta a spirito autarchico o a rigurgiti puristi, ma alla consapevolezza che la lingua italiana, privata dell’innovazione lessicale nei settori specialistici, si troverebbe a svolgere le funzioni di una lingua secondaria e non più vitale in campi importanti come quelli della scienza e della tecnica.
Valeria Della Valle è professoressa associata presso la Sapienza Università di Roma, nella quale insegna Linguistica italiana. Ha studiato vari aspetti dell’italiano: la lingua degli antichi documenti toscani, la storia dei dizionari, la prosa dei narratori contemporanei, la grammatica italiana, la terminologia dell'arte, i neologismi. Nell’ambito di questi interessi ha pubblicato saggi, articoli, libri. Con Luca Serianni e Giuseppe Patota ha pubblicato tre grammatiche per i licei. È la coordinatrice scientifica della terza edizione del Vocabolario Treccani (2008). Insieme a Giovanni Adamo, con il quale coordina l’Osservatorio neologico della lingua italiana (ILIESI-CNR), ha pubblicato Neologismi. Parole nuove dai giornali (Istituto dell’Enciclopedia italiana, 2008). Con Giuseppe Patota ha pubblicato numerosi libri di divulgazione linguistica, tra i quali Viva il congiuntivo! (2009), Viva la grammatica! (2011) e, nel 2014, Piuttosto che. Le cose da non dire, gli errori da non fare e L'italiano in gioco. 1000 quiz per misurare la tua conoscenza della lingua. Fa parte del comitato scientifico del “Bollettino di italianistica”.
L'Accademico Vittorio Coletti invita a riflettere e discutere su due tendenze dell'italiano contemporaneo.
La vicepresidente Rita Librandi fa il punto sul tema dei neologismi.
Il Consiglio direttivo dell'Accademia (Paolo D'Achille, Rita Librandi, Annalisa Nesi, Federigo Bambi, Rosario Coluccia), riprendendo la questione del genere nella lingua, più volte e sotto vari aspetti affrontata dalla Crusca, propone come Tema di discussione una riflessione e alcune indicazioni per un uso non discriminatorio della lingua.
Riprendiamo il tema del dialetto, già affrontato in altri temi del mese, trattando questa volta della sua recente ripresa nei media e in particolare nella televisione.
Evento di Crusca
Collaborazione di Crusca
Evento esterno
Per concomitanza con le Feste, la visita all'Accademia della Crusca dell'ultima domenica del mese di dicembre è stata spostata al 12 gennaio 2025 (ore 11).
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