Alcuni lettori ci chiedono se possa considerarsi corretta l’espressione la più parte (usata, come nota una di loro, anche da Manzoni nei Promessi sposi), in luogo di la maggior parte.
La locuzione nominale la più parte si può ritenere corretta e il suo uso scritto è ben attestato fin dalle origini della storia linguistica dell’italiano.
La locuzione condivide il significato con la maggior parte, indicando la quantità più numerosa di un insieme (Zingarelli 2025, s.v. maggiore). Di per sé, il sostantivo parte, derivato dal latino părte(m), tra le molte accezioni esprime il concetto di ‘quantità limitata’; in particolare, si veda il GDLI: “numero indeterminato di persone, di animali o di oggetti numerabili inferiore alla totalità considerata (anche in relazione con un agg. che ne specifica l’entità)”. Pertanto, il sostantivo, accompagnato dall’aggettivo maggiore o dall’avverbio più, indica la maggioranza degli elementi che compongono un gruppo definito.
Non tutti gli strumenti lessicografici consultati, sia storici che sincronici, registrano tutte e due le locuzioni: il Tommaseo-Bellini, il Vocabolario Treccani 2017, il Sabatini-Coletti 2024 e lo Zingarelli 2025 le segnalano ambedue, confermando l’identità di significato; mentre il GDLI, il GRADIT, il Garzanti 2017 e il Devoto-Oli 2024 attestano esclusivamente la maggior parte. Il TLIO riporta come prima attestazione di la maggior parte, nella forma maior parte, il Breve di Montieri del 1219, il primo statuto italiano redatto in lingua volgare, mentre non registra la più parte.
Difficile motivare o ricostruire la trafila storica che ha portato alla cristallizzazione di la più parte. Il latino possedeva un unico lessema per esprimere la maggioranza (plēriquĕ), gradualmente sostituito dalla combinazione maior pars, da cui la maggior parte. Nessuna traccia, invece, di un precedente *plūs pars per la più parte, che potrebbe essere il risultato della semplificazione del superlativo relativo la più grande parte o la più gran parte, forme altrettanto ben documentate, in cui l’aggettivo comparativo di grande è analitico e anticipato rispetto al sostantivo.
Per il fatto di fornire “informazioni quantitative sui referenti del nome a cui si collegano e, di conseguenza, sulla frase all’interno della quale quel nome è inserito” (Treccani Enciclopedia dell’Italiano), la più parte e la maggior parte rientrano nella categoria grammaticale dei “quantificatori”.
Entrambe le locuzioni possono essere completate da un partitivo, come tendenzialmente accade nei superlativi relativi (cfr. Serianni 1988, V 61), il quale può essere esplicitato (“la più/maggior parte degli elettori”) oppure sottinteso (cfr. Sabatini-Coletti 2024).
Di frequente le due locuzioni assumono valore avverbiale; in questo caso, possono essere precedute dalla preposizione per:
I processi metallurgici impiegati per la produzione del nichel sono per la più parte termici, essi possono però essere associati a trattamenti elettrolitici finali per raffinare il metallo grezzo. (Gino Eigenmann, Ivo Ubaldini, Nuovo dizionario di merceologia e chimica applicata, vol. V, Milano, Hoepli, 1975, p. 2214)
Questi documenti per la maggior parte sono redatti secondo schemi che si conservano per secoli. (Orsolina Montevecchi, La papirologia, Milano, Vita e Pensiero, 1992, p. 82)
Con tali oscillazioni di forma e di valore le due locuzioni sinonimiche sono largamente presenti nei corpora da noi indagati: BibIt Biblioteca italiana, per il lessico letterario; il corpus itTenTen, per la lingua della rete; gli archivi del “Corriere della Sera” e della “Repubblica”, per il linguaggio giornalistico. Ciò che emerge con grande evidenza è il divario numerico tra le attestazioni delle due locuzioni. La Biblioteca Italiana riporta 240 testi in cui è presente la più parte rispetto ai 406 di la maggior parte; il corpus itTenTen attesta rispettivamente 2.874 e 862.094 occorrenze; il “Corriere” 2.022 contro 95.543; infine, “la Repubblica” 230 contro 82.818. I risultati ottenuti rilevano come la maggior parte sia significativamente più comune di la più parte, cosicché non stupisce la sensazione di scorrettezza avvertita dai nostri lettori nei confronti della seconda espressione. La differenza non è tanto eclatante nei testi letterari, dove la locuzione con più occorre la metà delle volte rispetto alla locuzione con maggiore, quanto piuttosto nelle fonti in rete e in quelle giornalistiche, quindi in produzioni scritte con un grado di controllo e di formalità minore. La tendenza è confermata dalla consultazione di alcuni corpora di italiano parlato, nei quali la più parte è nettamente minoritario rispetto a la maggior parte, e spesso non è affatto attestato; così nel Corpus CorDIC-parlato (nessuna occorrenza del primo, 15 del secondo), nel Corpus KIPARLA (0 contro 92), e nel Corpus Europarl spoken parallel – Italian (3 contro 4.633).
Nel corpus itTenTen, la più parte può essere seguita dalla preposizione semplice di e dalle sue forme articolate (1.524 casi), che introducono il partitivo:
La più parte degli studiosi che si è occupata della questione è propensi [sic] a far passare il confine tra i territori di Como e Milano. (Brianza romana, cassiciaco.it)
Di frequente è impiegata in modo assoluto:
Al di là delle singole note, positive (la più parte) e negative (quisquilie e pinzillacchere). (Giorgio Maimone, Amor Fou: “I moralisti”. Un concept neorealista sull'errore e la morale, bielle.org)
Talvolta, il sintagma assume valore di soggetto, spesso con concordanza a senso del verbo:
La più parte restò nell’ombra, fedele al principio cardine del Risorgimento, che era purissimo ideale, atto di generosa donazione di sé alla Patria, alieno dalla fama e, tantomeno, dagli emolumenti materiali. (Maria Cipriano, Viva San Marco! Viva l’Italia!, tuttostoria.net)
La più parte degli scrittori hanno le parole e non i pensieri: io con i pensieri non ho la parola. (CriticaLetteraria: ottobre 2011, criticaletteraria.org)
Per quel che riguarda gli impieghi di la maggior parte, nonostante la locuzione sia rappresentata da una casistica di gran lunga più corposa, si ripresentano le medesime caratteristiche di reggenza.
Un approfondimento delle testimonianze letterarie può fornirci alcune indicazioni in ordine di tempo utili a verificare se la sensazione di obsolescenza oggi avvertita nei confronti di la più parte sia rispecchiata negli usi scritti del passato. La Biblioteca Italiana, che permette di consultare in formato digitale i testi più rappresentativi della letteratura italiana dal Medioevo al Novecento, come già accennato, presenta 240 risultati della locuzione. La prima attestazione è del Novellino, una raccolta anonima di cento novelle toscane risalente alla seconda metà del Duecento. L’unica occorrenza è del cap. 83:
E Cristo si volse e ripreseli e disse: “Voi adimandate quelle cose che toglie al nostro regno la più parte dell’anime che·ssi perdono; e che ciò sia vero, alla tornata ne vedrete l’asempro”. (Il Novellino, a cura di Guido Favati, Genova, Fratelli Bozzi, 1970, p. 319)
È interessante notare che nella raccolta è presente, sempre con una sola occorrenza, anche la locuzione la maggior parte (cap. 5), usata con le stesse funzioni:
Or che fece Iddio? Punillo secondo la colpa, ché quasi la maggior parte del populo suo li tolse per morte. (Ivi, p. 137)
I secoli con le attestazioni più numerose sono il Cinquecento (260 occorrenze) e l’Ottocento (247 occorrenze), contro i 688 e 262 casi, rispettivamente, di la maggior parte.
Nell’Ottocento, è largamente impiegata nelle lettere e nei trattati: così in Foscolo, Manzoni e Leopardi. In questi ultimi due autori rientra anche in usi prettamente letterari. Come notato da una lettrice, I promessi sposi presenta alcune attestazioni della locuzione; venti, nello specifico. Riportiamo due luoghi:
È Pescarenico una terricciola, sulla riva sinistra dell’Adda, o vogliam dire del lago, poco discosto dal ponte: un gruppetto di case, abitate la più parte da pescatori, e addobbate qua e là di tramagli e di reti tese ad asciugare. (Alessandro Manzoni, I promessi sposi. Testo del 1840-1842, a cura di Teresa Poggi Salani, Milano, Casa del Manzoni, 2013, p. 105)
Verso le ventidue, ch’era l’ora in cui s’aspettava il cardinale, quelli ch’eran rimasti in casa, vecchi, donne e fanciulli la più parte, s’avviarono anche loro a incontrarlo. (Ivi, pp. 750-1)
È significativo che fin dal Fermo e Lucia la locuzione sia impiegata quindici volte, accresciute a diciotto nella prima edizione a stampa del 1825-1827 e arrivate a venti nella seconda e definitiva (1840-1842). L’incremento tra le due edizioni è dovuto alle seguenti sostituzioni (o, filologicamente, varianti):
donne e fanciulli il più (Alessandro Manzoni, I promessi sposi. Edizione critica della Ventisettana, a cura di Donatella Martinelli, Milano, Casa del Manzoni, 2023, p. 469) > donne e fanciulli la più parte (Manzoni, I promessi sposi 1840-1842, cit., p. 751)
Vedevano i più di loro l’annunzio e la ragione insieme dei guai (Manzoni, I promessi sposi (Ventisettana), cit., p. 609 > Vedevano, la più parte di loro, l’annunzio e la ragione insieme de’ guai (Manzoni, I promessi sposi 1840-1842, cit., p. 987)
Al contrario, le attestazioni di la maggior parte sono soltanto due, e rimangono stabili nel passaggio tra prima e seconda edizione:
Era una delle sue massime questa, che, per riuscire a far del bene alla gente, la prima cosa, nella maggior parte de’ casi, è di non metterli a parte del disegno. (Manzoni, I promessi sposi 1840-1842, cit., p. 760)
febbricciattole, intermittenti la maggior parte, con al più qualche piccol bubbone scolorito. (Ivi, p. 1145)
Manzoni sceglie quindi di utilizzare nel romanzo in modo preponderante la locuzione con più, pur senza escludere totalmente la forma con maggiore, minoritaria anche nel resto della sua produzione. Nondimeno, nel Giorgini-Broglio, vocabolario promosso dallo scrittore e ispirato alle sue posizioni linguistiche fiorentiniste, la più parte è totalmente assente, mentre la maggior parte è registrato alla voce maggiore (§ 2), senza note esplicative. La maggior parte è riportato anche alla voce parte, dove è chiosato con “i più”. La maggior parte e i più sono messi di nuovo in relazione alla voce più del vocabolario: i più al § 40 (anche il femminile le più al § 18) è glossato come “la maggior parte, il maggior numero”, e ne viene riconosciuto sia un uso assoluto, nel significato di ‘la maggior parte degli uomini’ (“I più lo deridono”), sia relativo (“Il più della gente”). La corrispondenza è comprovata da altri due vocabolari di fine Ottocento di ispirazione toscana: il Nòvo dizionàrio universale della lingua italiana di Policarpo Petrocchi (1887-91) s.v. più “I più, le più. La maggior parte”, in cui sono distinti il maschile e il femminile, come illustrato dalle esemplificazioni “I più degli uomini. Le più delle dònne” e il Vocabolario italiano della lingua parlata di Giuseppe Rigutini e Pietro Fanfani(1875) s.v. parte “gran parte, la maggior parte. Molti o I più di coloro dei quali si parla”.
Anche in Leopardi l’uso di la più parte risulta consolidato, soprattutto nello Zibaldone: si riscontrano cinquanta occorrenze, rispetto alle trentuno di la maggior parte:
Ma se guarderemo più sottilmente, troveremo che i progressi dello spirito umano, e di ciascuno individuo in particolare, consistono la più parte nell’avvedersi de’ suoi errori passati. (Giacomo Leopardi, Zibaldone di pensieri, a cura di Giuseppe Pacella, vol. II, Garzanti, 1991, p. 1442)
Moltissimi, anzi la più parte degli argomenti che si adducono a provare la sociabilità naturale dell’uomo, non hanno valore alcuno, benchè sieno molto persuasivi. (Ivi, p. 1991)
Nella lingua letteraria novecentesca, così come è documentata nel PTLLIN, la più parte occorre in cinque opere dodici volte. Nondimeno, in tre casi (negli autori Mario Pomilio, Carlo Sgorlon e Mariateresa Di Lascia) la locuzione coesiste in alternanza a la maggior parte, che risulta a ogni modo l’espressione più impiegata, tra il 1947 e il 2006, con 156 occorrenze.
La pluralità delle provenienze geografiche degli scrittori che impiegano le due espressioni sembra anche confermare l’assenza di una particolare distribuzione diatopica di queste ultime.
In conclusione, come è emerso dalle fonti consultate, la locuzione la più parte si può considerare una forma corretta, alternativa a la maggior parte, di cui condivide semantica e funzioni. Il suo uso scritto è ben attestato sin dal Duecento, rimanendo vitale per tutti i secoli successivi, anche se risulta sempre minoritario in confronto al suo equivalente. Dal grafico estratto dal motore di ricerca Google Ngram Viewer, che prende in esame i libri in lingua italiana digitalizzati da Google dal 1500 al 2019, si può notare sia la coesistenza delle locuzioni, sia il divario tra le due. Intorno al 1600 e al 1850, la più parte sembra essere impiegata più frequentemente rispetto alle epoche precedenti e successive, ma di certo nel Novecento e soprattutto verso gli anni Duemila la sua circolazione diventa sempre più ridotta.
Nel parlato contemporaneo, invece, la più parte è raramente registrata, così che sembra possibile considerare la forma sempre più relegata agli impieghi scritti di registro sostenuto.
Un ultimo appunto: qualora la più parte e la maggior parte abbiano valore di soggetto nella frase, il verbo da un punto di vista normativo dovrebbe accordarsi al singolare (“la più/maggior parte degli elettori ha votato”). Ciononostante, sin dal Cinquecento, è attestato anche l’accordo al plurale (“la più/maggior parte degli elettori hanno votato”). La concordanza a senso è quella preponderante nel Novecento (cfr. Anna M. Thornton, I milioni o le milioni di parole?, in “Italiano digitale”, XVII, 2021/2 (aprile-giugno), pp. 47-49; per un approfondimento sull’accordo, cfr. la scheda per la Consulenza linguistica di Raffaella Setti).
Ersilia Russo
11 novembre 2024
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