Paolo D'Achille e Rita Librandi affrontano una questione che nelle ultime settimane ha attirato l'attenzione di molti, suscitando dibattiti e polemiche: quella delle domande e dei metodi di valutazione dei concorsi per l'insegnamento.
Luglio 2022
Questo Tema appare in ritardo rispetto al mese in cui si sono svolti i fatti commentati: si è trattato di una scelta intenzionale, per far sì che l’Accademia fosse coinvolta in una discussione che riteniamo necessaria ma non nelle polemiche sollevate talora con eccessiva leggerezza, talora pretestuosamente.
Nello scorso maggio si sono svolte in tutta Italia le prove scritte dei concorsi a cattedra per la scuola secondaria di I e II grado nelle varie classi previste per l’insegnamento delle materie letterarie (italiano, storia, geografia, latino, greco). Tali prove sono consistite in quesiti a scelta multipla, in cui bisognava barrare, tra le quattro risposte indicate, una sola, l’unica considerata corretta. Fin dai giorni immediatamente successivi alle prove, le caselle di posta elettronica di accademici, storici della lingua e linguisti sono state quasi inondate da messaggi di partecipanti non ammessi all’orale, che chiedevano pareri sulla correttezza di alcune risposte indicate dal Ministero, ritenendo che quella data da loro, considerata errata (e che in certi casi aveva determinato la mancata ammissione all’orale) dal Ministero, fosse almeno altrettanto corretta di quella che il sistema indicava come tale (la circostanza è avvenuta anche per le prove in altre classi di concorso, ma qui ci occupiamo di quelle relative alla lingua italiana).
Alcuni colleghi e colleghe hanno risposto alle richieste, altri e altre si sono astenuti dal farlo, per motivi diversi (tra cui il fatto che non si può dare per scontato che un esperto fornisca in modo informale un parere pro veritate da allegare a un ricorso). Ci sono stati poi interventi pubblici di autorevoli personalità della cultura che hanno commentato alcune domande ed evidenziato come risposte considerate erronee fossero in realtà anch’esse corrette. Non è mancato chi ha criticato in generale il metodo stesso della prova, considerata più adatta a un quiz televisivo che non alla verifica della preparazione di docenti di ruolo; qualcuno ha anche avanzato il sospetto che il metodo fosse stato scelto deliberatamente per ridurre drasticamente il numero dei candidati ammessi alla prova orale (consistente, a sua volta, in una lezione su un argomento di una delle materie della classe di concorso, estratto il giorno precedente).
È ovvio osservare che, purtroppo, non esiste un sistema di valutazione perfetto o una tecnica di misurazione delle conoscenze pienamente oggettiva; esistono, però, motivazioni e criteri importanti, in base ai quali è giusto optare per un sistema o per un altro. Tra le motivazioni non sono da trascurare né il numero delle persone da valutare o di valutatori di cui si dispone, né i tempi entro cui chiudere le procedure; tra i criteri, invece, è evidente che, primo tra tutti, deve essere l’obiettivo che si intende raggiungere e cui va pienamente adeguato lo strumento della misurazione. Date queste premesse, anche i test a scelta multipla possono rientrare tra i buoni sistemi di valutazione, purché siano costruiti seguendo regole da tempo illustrate da chi scientificamente si occupa delle tecniche della valutazione e le sperimenta: se è vero, infatti, che nessuna valutazione può essere oggettiva, è anche vero che nessuna può in alcun modo essere arbitraria.
Cominciamo con il dire che chiunque proponga un test dovrebbe, prima di tutto, illustrare in modo trasparente il percorso seguito e le scelte compiute, spiegando i motivi per cui la prova si mostra adeguata a misurare questa o quella conoscenza e le ragioni per cui in base alle risposte fornite si potrà legittimamente prendere una decisione: occorre soprattutto dimostrare che, data una certa situazione e un determinato obiettivo, non sono state fatte scelte casuali, magari dettate da impressioni personali, ma che si sia optato per le migliori soluzioni possibili. Per garantire e illustrare tutto ciò, non c’è altra via che quella di verificare i quesiti: la facilità o difficoltà di un quesito a scelta multipla non può fondarsi su un giudizio individuale ma deve poggiare su rigorosi indici statistici, anche indici elementari, se non si vuole ricorrere ad analisi complesse, ma ricavati sempre da un sondaggio significativo. Qualsiasi test, infatti, non può non essere preceduto (o eventualmente seguito per la costruzione di prove future), da una verifica condotta su un campione rappresentativo, in grado di garantirne l’affidabilità.
I quesiti a scelta multipla vanno costruiti da esperti o da gruppi di esperti che coprano la conoscenza dei contenuti disciplinari, le competenze docimologiche e quelle statistiche, e che insieme assicurino test validati, adeguati agli obiettivi da raggiungere e soprattutto privi di ambiguità: è evidente, infatti, che se nelle fasi di validazione che devono precedere il test un quesito si dimostra aperto a più risposte, va eliminato o almeno riformulato. Abbiamo volutamente fatto riferimento alla docimologia, perché si tratta di una disciplina spesso guardata con sospetto dagli studiosi di lingua o letteratura, forse per un vizio che Tullio De Mauro definiva di bellettrismo, termine coniato nel Novecento sul più antico aggettivo bellettrista (‘chi si diletta di studi letterari’). Esistono però, in Italia e all’estero, studi seri e ben sperimentati di docimologia o anche di psicologia applicata, che hanno dato risultati efficaci e che in una società complessa come quella contemporanea, dove la conoscenza e la specializzazione dipendono da molte più variabili di cinquanta anni fa, sono supporti utilissimi. Purtroppo, però, accade molto spesso a insegnanti e studiosi di imbattersi in una semplificazione dannosa dei contenuti di queste discipline, in una sorta di vulgata che si insinua in molti manuali e che soprattutto, dispiace dirlo, pervade troppo spesso circolari e disposizioni destinate alla scuola. Ciò non ci consente di capire fino in fondo quali siano i metodi da seguire o i vantaggi che potremmo ricavarne, e soprattutto ci spinge ad affidarci al semplice buon senso o alle nostre personali esperienze, con effetti, come si è visto, spesso dannosi e discutibili.
Con queste doverose premesse, prendiamo ora in considerazione alcuni quesiti relativi alla lingua italiana che sono pervenuti a noi o ad altri accademici e vediamo se i dubbi dei ricorrenti sono fondati o meno.
Tra i quesiti del concorso ordinario per docenti (classe A022) vi è il seguente:
Il Ministero considera esatta la risposta d (“Verbi di servizio che formano un’unica espressione di significato con altri verbi all’infinito o al gerundio”), il che certamente è vero. Tuttavia, anche la risposta a (“Verbi che per dare senso compiuto alla frase hanno bisogno di accompagnarsi ad altri verbi”), quella indicata da chi ci ha scritto, non si può considerare erronea, dal momento che il verbo fraseologico può essere considerato tale solo se unito a un altro verbo. Si potrebbe dire, in una gerarchia di correttezza, che la risposta d è più precisa della a, ma in una prova a soluzione multipla ciò non è ammissibile: la risposta corretta deve essere una sola e il “distrattore” deve comunque contenere un errore che le persone più preparate siano in grado di cogliere per scartarne la scelta.
Su un argomento simile verte la domanda seguente:
Non c’è dubbio che l’unica risposta certamente errata è la d. Ma accanto alla risposta a, quella indicata come corretta dal Ministero e che è senz’altro tale, anche la risposta b non può considerarsi errata, in quanto “faranno venire” è una struttura verbale perifrastica, e dunque si può parlare di funzione fraseologica del verbo fare in questo contesto. Forse potrebbe essere ammessa perfino la c (indicata da chi ci ha scritto), visto che la terminologia sul tema dei verbi modali non è uniforme nella manualistica e nella letteratura in materia.
E passiamo al quesito sul gerundio:
Il Ministero considera corretta la risposta d, il che – con riferimento alla frase presentata all’inizio – è certamente vero. È un po’ meno vero se guardiamo all’uso concreto, che ammette, per esempio, il gerundio con valore conclusivo sul piano testuale: “Riassumendo, la situazione è questa” (e a riassumere non è certo la situazione); o anche in relazione con un verbo al passivo: “L’edificio è stato restaurato conservando il più possibile il materiale autentico” (non è stato certo l’edificio a conservare, bensì chi lo ha restaurato); o in altri casi ancora, che sono però da considerare substandard. Ma non c’è dubbio che anche in questo caso la risposta a (data da chi ci ha scritto) non si possa considerare errata, in quanto, sul piano temporale, il gerundio presente (o semplice) della frase subordinata implicita che introduce esprime la contemporaneità dell’evento rispetto al verbo della principale, diversamente dal gerundio passato (o composto). Le due risposte non sono incompatibili: la d si riferisce all’accordo sintattico, la a al rapporto temporale tra i due verbi. Chi ha indicato questa risposta non ha “sbagliato”, a meno che non si consideri errore il fatto di non aver indicato la correttezza della risposta d (il che però, sulla base di quanto si è detto, potrebbe anche essere messo in dubbio).
C’è poi un ultimo quesito, ancora più interessante perché verte su un tema di linguistica testuale:
Non c’è dubbio che ebbene abbia, in genere, funzione conclusiva, come indica la risposta d. Ma sul piano testuale i connettivi come ebbene sono polifunzionali e hanno valori semantici e pragmatici che dipendono dal contesto. Nel caso specifico, non c’è dubbio che ebbene possa essere sostituito anche da ma e che dunque la funzione avversativa indicata nella risposta c (scelta da chi ci ha scritto) sia senz’altro corretta, e che sia invece problematico parlare di funzione conclusiva di fronte a una semplice frase composta e non a un’unità testuale più ampia. C’è anche da dire che, tra i dizionari in uso, solo il Sabatini Coletti (il più attento ai valori testuali delle congiunzioni) fa osservare che in alcuni contesti ebbene assume anche valore avversativo. Ma il quesito sembra l’esempio classico di scelta multipla costruita male, perché probabilmente si è voluto creare un “trabocchetto” proprio partendo da ciò che si trova nei principali dizionari e costruendo la domanda per trarre in inganno, senza pensare che con riferimento alla frase proposta sarebbe quanto meno possibile una duplice risposta, con valore cioè di conclusione, ma con senso avversativo.
Alla luce di queste poche considerazioni, l’invito è a riflettere con attenzione, come si è detto all’inizio, sul sistema di valutazione che si decide di adottare, sapendo che andrà opportunamente illustrato e giustificato. I quesiti a scelta multipla non sono di per sé negativi, ma devono essere costruiti con le giuste competenze; in assenza di tempi e specialisti adeguati sarebbe più opportuno adottare altri sistemi di misurazione.
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L'Accademico Vittorio Coletti invita a riflettere e discutere su due tendenze dell'italiano contemporaneo.
La vicepresidente Rita Librandi fa il punto sul tema dei neologismi.
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Commento di chiusura di Paolo D'Achille e Rita librandi
Il tema del mese sui quesiti a scelta multipla utilizzati nei concorsi per la selezione degli insegnanti ha suscitato, com’era facile attendersi, la reazione di molti docenti, che oltre a intervenire sul sito dell’Accademia hanno scritto messaggi di posta elettronica ai nostri indirizzi personali. I commenti e le richieste sono stati più o meno tutti dello stesso tenore, esplicitando o sottintendendo due domande principali: la prima sul ritardo del nostro intervento e la seconda sull’esibizione di più numerosi pareri che avrebbero potuto esercitare una maggiore pressione sul Ministero.
Sul ritardo del nostro intervento insiste, in particolare, Ilva, che si chiede perché il tema del mese sia stato pubblicato «a concorso concluso». La risposta più ovvia è che sarebbe stato impossibile conoscere i quesiti prima della chiusura del concorso, ma la domanda di Ilva allude forse al fatto che abbiamo aspettato circa un mese dopo la prima esplosione di proteste. All’inizio del nostro tema, però, abbiamo detto con chiarezza di aver atteso alcune settimane perché ritenevamo doverosa la partecipazione dell’Accademia a una discussione così importante ma non consideravamo giusto il suo coinvolgimento in polemiche talvolta pretestuose. L’Accademia della Crusca (e con ciò rispondiamo anche a Gaia Martone che si chiede il perché di un’«istituzione come questa se poi non le si dà ascolto») ha molti compiti: svolge, in particolare, ricerche sulla lingua, sulle sue strutture e sulla sua storia, collabora con le università per la formazione di ricercatori in ambito linguistico e filologico e con le istituzioni scolastiche per l’insegnamento e l’apprendimento dell’italiano, coopera con istituzioni affini di altri paesi e con l’Unione europea per la salvaguardia del plurilinguismo, offre un servizio di consulenza e assistenza linguistica a chiunque ne faccia richiesta. L’Accademia è, naturalmente, libera, di esprimere il proprio parere e soprattutto di consigliare le istituzioni sulla base delle proprie competenze linguistiche, ma non è un organismo politico o giuridico in grado di incidere, e ancor meno di imporsi, sulle decisioni ministeriali.
Molti linguisti hanno inviato a chi lo chiedeva il proprio parere su questo o quel quesito del concorso; non sappiamo se risposte fornite attraverso la posta elettronica possano assumere il valore di perizie legali, ma a chi ha scritto al nostro indirizzo (in particolare Mariangela Lannutti e Roberta Vinaccia) chiedendo ancora altri giudizi, rispondiamo che con il tema del mese abbiamo già espresso pubblicamente la nostra opinione, dandole quindi un’alta visibilità.
Quanto alle perplessità su validità o meno di quesiti che si sarebbero basati su grammatiche considerate autorevoli, vorremmo riportare l’attenzione alla prima parte del nostro tema del mese: la riflessione va indirizzata, come ha scritto Luigi Breschi, verso l’«opacità docimologica» che caratterizza spesso la valutazione e la misurazione di conoscenze e competenze. Non vogliamo ripeterci, ma ribadiamo la necessità di illustrare in modo trasparente il percorso seguito nella scelta di prove, il perché le si ritenga la via migliore, le verifiche fatte per provarne l’efficacia.
A Mariapaola Fustini, infine, che insieme a Claudia Matthiae ci chiede, sempre scrivendo al nostro indirizzo personale, indicazioni di «fonti, grammatiche e linguisti da poter citare ai ragazzi» in vista di lezioni sul valore di ebbene e sulla definizione dei verbi fraseologici, rispondiamo che in classe è bene supportare la riflessione sulla grammatica lavorando su esempi tratti da testi di diverse tipologie, confrontando i dizionari, proponendo esercitazioni adeguate e magari anche verificando la validità di alcune grammatiche piuttosto che citando “linguisti” ancorché autorevoli. La sezione Crusca-Scuola dell’Accademia, peraltro, offre ogni anno corsi gratuiti di formazione che gli insegnanti possono seguire anche a distanza e durante i quali si propongono strumenti legati agli argomenti di volta in volta affrontati. Saremo felici di accogliere tutti coloro che intendono approfondire le proprie conoscenze.
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Salvatore Claudio Sgroi
Direi che il tema del mese di Luglio di Rita Librandi e Paolo D'Achille, che ho letto solo oggi, è una bella lezione per il ministero della P.I e i suoi esperti, che rivelano gravi lacune e di grammatica e di tecniche nella preparazione dei quesiti a scelta multipla, per accertare le competenze dei candidati nei concorsi nazionali.
Anch'io ero stato interpellato lo scorso aprile a proposito di "Ebbene" come congiunzione testuale col duplice valore a) conclusivo" e b) "avversativo", e avevo risposto che il valore avversativo 'ma' di ebbene nella frase "Gli avevo chiesto se poteva farmi un favore, ebbene ha rifiutato", era senz'altro corretto. E quindi era corretta la risposta del candidato.
Più precisamente: «Il problema è capire se la valenza a) conclusiva implica quella b) avversativa. Stando al Sabatini-Coletti, l'unico dizionario che distingue valenza 1) conclusiva e 2) avversativa, sembrerebbe proprio di no e quindi ha ragione il nostro prof.: 1) "avevo chiesto se poteva farmi un favore, ebbene [= 'ma', avvers., non già: 'e allora' concl.] ha rifiutato”. Se la frase fosse stata: 2) "avevo chiesto se poteva farmi un favore, ebbene [= 'e allora', Conclusione, deduttivo; non già: 'ma' avvers. ] ha accettato”».
Nella frase ministeriale"avevo chiesto se poteva farmi un favore, ebbene [= 'ma', avvers., non già: 'e allora' concl.] ha rifiutato”, il valore conclusivo era invece tutt'altro che sicuro. Come viene ricordato da Ilva, i candidati avevano 60 gg per presentare ricorso. E sarebbe interessante sapere quanti siano stati i ricorsi, e quanti siano stati quelli accolti dal Ministero, riammettendo candidati ingiustamente esclusi.
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