Il presidente dell'Accademia Claudio Marazzini, prendendo spunto da fatti di cronaca, invita a una riflessione sulla censura linguistica.
La casalinga di Voghera è stata senza dubbio un gran personaggio degli ultimi vent'anni del passato secolo. Fior di intellettuali se ne disputavano la paternità. Nanni Moretti si ispirava a lei per una battuta di un suo film. Oreste del Buono se ne serviva nella sua rubrica del Lunedì sulla “Stampa”. Beniamino Placido mandava la casalinga all’attacco di Bruno Vespa, con il plauso di Miriam Mafai (“la Repubblica" del 13 agosto del 1985): "La ormai famosissima casalinga di Voghera, dietro la quale si è fatto scudo Beniamino Placido per la sua polemica contro Bruno Vespa, si è fatta sentire a Repubblica…”. Quasi quasi la sineddoche prendeva corpo, esisteva per davvero come individuo pensante e vivente. Il 9 dicembre del 1993 il “Corriere della Sera”, pagina 12, annunciava trionfalmente l'ingresso della casalinga di Voghera in un dizionario, seppure settoriale: il Dizionario dei termini giuridici di Germano Palmieri, Edito dalla BUR (oggi è anche registrata nello Zingarelli). La casalinga di Voghera la faceva da padrona nei corsi avanzati di giornalismo, dove si studiavano le tecniche per raggiungere il pubblico più recondito. Umberto Eco, fin dal 1971, nel saggio Guida all'interpretazione del linguaggio giornalistico, aveva parlato del sondaggio della Rai sulla (mancata) comprensione di parole importanti nella vita sociale da parte del pubblico: parole quali scrutinio, crisi di governo, promulgazione di una legge ecc. Com’è noto, stando al racconto di Eco, il peggior risultato era stato proprio quello di un gruppo selezionato di casalinghe di Voghera, che avevano compreso solo il 26% delle parole proposte, e avevano mancato tutte le altre. Ancora nel 1975, Mario De Angelis, su “Stampa sera”, commentava quell’intervento di Umberto Eco. Frattanto la casalinga di Voghera doveva aver frequentato le scuole serali, e non risultava più così ignorante, almeno stando alla poesia pubblicata da Alberto Arbasino sulla “Stampa” del 27 aprile 2001: "La casalinga di Voghera / in attesa della corriera / con le sataniste di Mortara / e i fidanzatini di Novara / quando scende il tiggì della sera / sul cavalcavia di Cava Manara / rilegge Montale: Occasioni e Bufera". Ancora: nel 2000, la casalinga di Voghera aveva intrigato Aldo Grasso, che ne parlava collegandola a Nanni Moretti, Beniamino Placido, Umberto Eco. Sull’onda del successo, si costituì persino un gruppo di casalinghe di Voghera, e la trasmissione “Il treno dei Desideri”, che andava in onda su RAI 1, donò alla locale associazione una statua, nel 2006. Oggi quella figura in vetroresina, che brandisce minacciosamente uno spolverino, è finita in uno scantinato, sul viale del tramonto, perché è evidente la carica discriminatoria dell'espressione usata per indicare un pubblico poco colto, disarmato di fronte al linguaggio criptico della burocrazia e della politica, incapace di intendere termini tecnici necessari per una consapevole vita sociale. L’espressione, sineddoche o no, appare discriminatoria, per le donne, e anche per quella cittadina della provincia italiana. Perché proprio quella (per quanto la spiegazione di Umberto Eco sul sondaggio della Rai una motivazione la suggerisca)? Pare comunque che l’espressione stia oggi andando pian piano in disuso, e risulta che sia stata condannata da gruppi femministi. Altro che statua!
Eppure quell'espressione brillante piaceva, come abbiamo visto: appariva efficace ed originale per riflettere sui problemi della comunicazione, per mettere in luce uno scarto di comprensione e di linguaggio che la società civile doveva superare. Svolse dunque una funzione educativa contro gli effetti deleteri dell’oscurità nella comunicazione, allora molto temuta, prima che i social dessero l’impressione di poter chiarire tutto per tutti. Oggi un intellettuale progressista starebbe bene attento nel coniare un'espressione del genere, che potrebbe costargli un mare di guai. Persino nella fortuna o sfortuna di una sineddoche si può cogliere il profondo cambiamento di quello che potremmo definire ‘lo spirito dei tempi’.
Questo pensavo, leggendo ieri 30 novembre l'intervento durissimo del “Corriere della Sera” di Francesco Battistini (Se l’Europa boccia l’uso delle parole «Natale» e «Maria») contro i suggerimenti della Commissione Europea a proposito di una serie di censure linguistiche indicate in una circolare interna molto discutibile, se non stravagante. L'intervento critico, di aperta rivolta, del “Corriere della Sera” contro questi divieti, messi ampiamente in ridicolo, non è stato il solo. La protesta ha attraversato tutta l’Europa, se il giorno successivo le stesse fonti dell'Unione Europea hanno annunciato che il prontuario del politicamente corretto ideato dalla Commissaria all'Uguaglianza, Helena Dalli, era stato precipitosamente ritirato, con una certa irritazione, pare, di Ursula von der Leyen. Non definitivamente, però, ma solo per un po’, “perché i tempi non sono ancora maturi”. Prepariamoci dunque al secondo round. In ogni modo, oggi, 1 dicembre 2021, Francesco Battistini sul "Corriere", giustamente, canta vittoria: “non è stata una grande idea preferire gli auguri di Buone Feste al Buon Natale, per non offendere ebrei e musulmani; disincentivare l’uso di nomi troppo cristiani, tipo Giovanni e Maria; evitare il signore e signori, per non turbare le categorie deboli; cancellare la parola ‘colonizzare’, sempre e comunque, si tratti anche di colonialismo su Marte…”. E Antonio Scurati, nella stessa pagina, avvisa: “Smettiamola di ingannarci: la libertà non nasce dalla repressione di noi stessi”.
Da un po' di tempo si affollano sulla lingua, anzi sulle lingue, tentativi di riforma sempre più aggressivi, ispirati alla cultura della cancellazione, alla correzione di presunti elementi di offesa e discriminazione. Queste accuse crescono a vista d’occhio, ampliando il tentativo di ripulire la lingua per restituircela limpida, strumento finalmente adeguato a un’umana convivenza in pace e amore. L’unico difetto, in prospettiva, temo sia poi la fatica di utilizzare quella medesima lingua mediante il corposo manuale dei divieti, un repertorio in cui è facile smarrire qualche dettaglio. Senza contare l’esito, nella comunicazione reale e quotidiana, di uno strumento ipercontrollato, sempre più scialbo, privato di storia, di sale e vivacità. Il rischio della condanna inquisitoriale è dietro l’angolo. Esiste pur sempre, deve esistere, una differenza tra la buona educazione, che insegna a moderare le parole a seconda del contesto e della situazione, e la censura preventiva, in base alla quale si decide che una serie di parole o di espressioni deve sparire dal vocabolario e non deve esistere più. Quest’ultimo atteggiamento può trasmodare in caccia alle streghe. Non a caso certe pagine di Orwell, un tempo considerate antidoto alla tirannia, oggi sono viste come un rischioso monopolio di conservatori pericolosi.
Ho l'impressione che molti suggerimenti relativi al parlare corretto, applicato a contesti in cui si invoca l’inclusività e l’inclusione, lascino invece intravedere una posizione eccessivamente autoritaria, quasi ci fosse l’intenzione di intimorire l'utente. La moltiplicazione dei tabù linguistici ci avvicina alla paralisi: già oggi ci sono ragazzini della scuola media che si fermano terrorizzati di fronte alle parole “vecchio” e “anziano” (questa era nell’elenco citato dal “Corriere”, tratto dal documento della Commissione Europea) per indicare un uomo raffigurato con il bastone, la barba e i capelli bianchi. Un tempo vecchio era anche sinonimo di saggezza, e si distingueva dal gradino successivo, quello della decrepitudine. La linguistica degli anni settanta ci ha insegnato che una buona comunicazione esige anche un certo grado di libertà rispetto alle norme e alla grammatica, e infatti l'autorevolezza di alcuni princìpi tradizionali è molto diminuita nel corso degli anni. Stiamo dunque attenti a non sostituire a quell’autorità grammaticale, che ha perso forza, una serie di nuove autorità legate a tabù e divieti. Tabù e divieti possono anche diminuire considerevolmente l'efficacia della comunicazione. Ciò non vuol dire che la volontà espressiva individuale non abbia limiti; ma c’è un rischio nel collocare troppi paletti. Un po’ di libertà serve comunque, e non siamo obbligati a parlare tutti allo stesso modo. Mettiamo dunque da parte la Casalinga di Voghera, che ha fatto il suo tempo, e tramonta da sola, perché le donne lavorano, non sono più casalinghe se non in minima parte; ma non dimentichiamo che i dati PIAAC 2013 collocano ancora gli italiani, donne e uomini, all’ultimo posto tra i paesi OCSE per la capacità di comprendere un testo (la famosa literacy a cui faccio spesso riferimento). Nella statistica, le donne stanno persino un po’ meglio degli uomini, ma tutti assieme, come popolo italiano, sempre ultimi siamo. Lo svantaggio, in ogni campo, richiede pur sempre una definizione. Non condividiamo l'idea che quando una cosa non ci piace, è brutta, o non risponde più ai principi dominanti del presente, per risolvere il problema basti cancellarla dal vocabolario.
L'Accademico Vittorio Coletti invita a riflettere e discutere su due tendenze dell'italiano contemporaneo.
La vicepresidente Rita Librandi fa il punto sul tema dei neologismi.
Il Consiglio direttivo dell'Accademia (Paolo D'Achille, Rita Librandi, Annalisa Nesi, Federigo Bambi, Rosario Coluccia), riprendendo la questione del genere nella lingua, più volte e sotto vari aspetti affrontata dalla Crusca, propone come Tema di discussione una riflessione e alcune indicazioni per un uso non discriminatorio della lingua.
Riprendiamo il tema del dialetto, già affrontato in altri temi del mese, trattando questa volta della sua recente ripresa nei media e in particolare nella televisione.
Evento di Crusca
Collaborazione di Crusca
Evento esterno
Per concomitanza con le Feste, la visita all'Accademia della Crusca dell'ultima domenica del mese di dicembre è stata spostata al 12 gennaio 2025 (ore 11).
Commento di chiusura di Claudio Marazzini
Mi pare che le opinioni siano state espresse in maniera equilibrata dall’una e dall’altra parte. Questa volta ho anche avuto la sorpresa di incassare il parziale consenso di Luca Passani, che ci segue sempre (grazie dell’attenzione!), ma quasi mai si allinea al nostro parere. La soddisfazione è appena frenata da qualche perplessità dettata dal linguaggio un po’ troppo diretto e forte che ha utilizzato, e anche da qualche increspatura nella coerenza del suo discorso. Ma non è il caso di andare troppo per il sottile, visto che in sostanza anche Passani ha ammesso che augura ancora “buon Natale” senza patemi, così come faccio io. Dunque, “buon Natale” anche a lui, seppure con un po’ di ritardo.
Mi è piaciuta molto la precisazione di Giovanna Rinaldi, a cui è seguita la puntualizzazione di Francesco Rocchi. Giovanna Rinaldi ha mostrato che in Germania la questione del Natale ha suscitato discussione, e dunque non è vero che si è trattato di una polemica provinciale tutta italiana. Fra l’altro, anche ammesso che fosse una protesta tutta italiana, proprio non capisco perché avremmo dovuto vergognarcene. Forse l’Italia non fa parte dell’Europa? O non ha abbastanza abitanti? O il nostro popolo può parlare solo dopo le altre nazioni? Io credo di no. Licia Corbolante ha replicato a Giovanna Rinaldi affermando come le date mostrino che in Italia la protesta è nata prima. Sarà anche così. Non lo so, e non ho voglia di mettermi a esercitare la filologia delle date tedesche. Mi limito a indicare titoli e date di interventi francesi e spagnoli, altre due nazioni dell’Europa. Sono interventi in Rete che possono essere ancora rintracciati con facilità, e che ho reperito in un attimo.
Francia:
29/11/2021: https://www.valeursactuelles.com/politique/inclusivite-une-commissaire-europeenne-recommande-de-ne-plus-utiliser-noel-les-noms-chretiens-et-le-masculin/;
30/11/2021: https://www.nicematin.com/faits-de-societe/langage-inclusif-la-commission-europeenne-revoit-sa-copie-apres-un-debut-de-polemique-730591;
1/12/2021: https://www.lefigaro.fr/actualite-france/wokisme-noel-maria-ces-mots-que-deconseille-la-commission-europeenne-20211130;
1/12/2021: https://www.publicsenat.fr/article/parlementaire/guide-europeen-sur-la-communication-inclusive-ce-genre-de-pratiques-ne-peut;
1/12/2021: https://www.marianne.net/agora/les-signatures-de-marianne/au-secours-la-commission-de-bruxelles-veut-faire-la-police-verbale;
2/12/2021:https://www.cnews.fr/monde/2021-12-02/noel-maria-la-commission-europeenne-deconseille-lusage-de-certains-mots-et-creer-la
Spagna:
30/11/21: https://www.eldiestro.es/2021/11/la-comision-europea-veta-la-navidad-para-no-herir-sensibilidades/;
30/11/2021:https://www.elespanol.com/mundo/europa/20211130/comision-europea-pide-feliciten-fiestas-no-navidad-inclusion/631187268_0.html;
1/12/2021: https://gaceta.es/actualidad/yo-felicito-la-navidad-la-reaccion-unanime-contra-la-ocurrencia-de-von-der-leyen-de-felicitar-las-fiestas-20211201-1729/.
Può darsi che siano interventi di siti conservatori o retrogradi. Non ho controllato l’ideologia che sta dietro a queste comunicazioni, e non sono andato al di là del fatto che mi sembrano testi in sincronia con quelli italiani. Ma anche se fossero di orientamento conservatore, ciò significherebbe che non esistono? Mi è tornato alla mente, a questo proposito, il caso del Dantedì 2021, quando Arno Widmann si divertì a mettere alla berlina, proprio quel giorno, l’eccessiva passione degli italiani per Dante, sminuendo il valore di Dante stesso. Certamente la reazione italiana fu in certi casi esagerata, ma la cosa curiosa è che lo scrittore Roberto Saviano scrisse un articolo per dire che la provocazione non esisteva: era tutta una montatura italiana priva di senso, perché Widmann non aveva mai detto nulla contro Dante. Anzi, lo stesso ministro Franceschini - secondo Saviano - aveva tuonato contro Widmann solo per coprire le proprie responsabilità, non avendo avuto il coraggio di riaprire i luoghi della cultura. Anche questa difesa mi pare esagerata. Sembra quasi che non si possa discutere con un avversario senza premettere che i suoi argomenti non esistono, che la polemica nasce solo perché chi non ha le nostre idee è certamente ignorante e in malafede. Non si confrontano idee eventualmente diverse, dunque, e ciò semplicemente per il fatto che l’avversario è un minus habens. Questo penso, quando mi si dice che gli italiani, unici in Europa, poveretti, provincialotti come sempre, hanno creduto che qualcuno mettesse le mani sul loro Natale o volesse imporre scelte linguistiche discutibili. Tutte invenzioni, anzi una trappola in cui sono cascati tutti (italiani, ovviamente), perché non hanno consultato le fonti e perché non sanno l’inglese. Ovviamente, anche nella redazione del Corriere della sera nessuno sa l’inglese: il maggior giornale italiano non sa leggere e tradurre il manuale in inglese di Helena Dalli. Fra l’altro non si capisce perché i giornalisti tedeschi avrebbero tradotto e fatto circolare di seconda mano la polemica italiana. Se fosse stato così, significherebbe comunque che gli italiani sono stati più bravi a dar fuoco alle polveri, e gli altri sono stati gregari nel seguirli. In fondo capita abbastanza di rado, per cui potremmo persino trarne motivo di soddisfazione. Ma è proprio così?
Francesca Rocchi, tra coloro che hanno partecipato alla discussione, ha giustamente insistito sul fatto che non è possibile minimizzare quanto si legge nel manuale della Dalli. Non posso far a meno di riportare le sue parole, perché le avrei scritte io stesso identiche, se non fosse arrivata prima lei a formulare benissimo il pensiero: «Se alcuni passaggi servivano a titolo di esempio o erano solo consigli, il grosso delle disposizioni era "da usare in tutte le occasioni" e "in tutti i documenti interni ed esterni della Commissione Europea". Basta controllare le pagg. 5 e 6 (le prime, del documento). È altresì falso che ci sia stata confusione sulla questione del "Christian name". Per quanto nel documento, a p. 19 si dica di usare "forename" invece di "Christian name", subito dopo viene aggiunto che negli esempi e nella scelta dei nomi non bisogna usare nomi tipicamente di una sola religione, come "John and Mary", preferendo nomi come "Malika e Julio: con il risultato imbarazzante di aver dato come cristiani nomi di origine ebraica e soprattutto di aver sottinteso che chi si chiami Giovanni o Maria debba essere cristiano (e chi si chiama Malika o Julio invece no)». Aggiungo che nel manuale #UnionOfEquality European Commission Guidelines for Inclusive Communication i consigli sono stati davvero elargiti sfidando intrepidamente l’ironia dei lettori: basti pensare al suggerimento «Be mindful of the negative connotations of terms such as colonisation or settlement» (p. 19) seguito dall’esempio AVOID «Colonisation of Mars» / DO THIS INSTEAD «Sending humans to Mars». Peccato che non ci fosse anche un esempio sulla colonizzazione di un organismo da parte di batteri, con un consiglio per evitare la brutta parola “colonizzare” così come usata in biologia, oltre che nella conquista dello spazio.
È vero, come fa notare Licia Corbolante, che il testo si riferiva a esempi inglesi, non italiani. Però sappiamo bene che questi manuali fanno in fretta a passare da una lingua all’altra senza essere ricalibrati in maniera accorta. Ci si limita a trapiantare norme su norme, e chi più ne inventa sembra essere più vicino alla verità assoluta che splende luminosa di fronte ai suoi occhi, una lingua futura perfetta per una società perfetta. Ci si ritrova così soffocati da norme, talora strampalate, come quella prima citata che sconsiglia la colonizzazione di Marte. Meglio dunque una moratoria. Basta manualetti con le norme del ben parlare. Limitiamoci a quelli esistenti e ormai classici, e non aggiungiamone altri.
Chiudo con un pensiero per chi ha giustamente difeso le casalinghe di Voghera, e ci ha detto che ne esistono ancora, e che sono fiere di essere tali. Potrà essere utile, anzi, continuare a far riferimento ad esse per misurare il livello di comunicazione linguistica adatto agli scambi sociali. Per esempio, per la casalinga di Voghera sarà meglio booster o richiamo del vaccino?
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