Sull'onda di numerose segnalazioni giunte alla redazione del sito dell'Accademia, Paolo D'Achille, accademico responsabile del servizio di Consulenza linguistica, avvia la riflessione sul tema dei nomi propri, delle parole da essi derivate e della loro presenza sui vocabolari.
Luglio 2019
Tra le differenze che vengono solitamente indicate tra il dizionario e l’enciclopedia, oltre al fatto che il primo tende a spiegare le parole e la seconda punta a descrivere le cose che le parole indicano, c’è anche una particolarità relativa all’estensione del lemmario: quello del dizionario esclude infatti categoricamente i nomi propri, che invece sono compresi nelle enciclopedie, tra le cui entrate figurano moltissimi personaggi storici, poeti, filosofi, scienziati, nonché città, monti, fiumi, continenti, paesi, monumenti, ecc. Il dizionario include inoltre parole che non si trovano normalmente tra le voci enciclopediche: quelle appartenenti ad alcune specifiche categorie grammaticali (articoli, pronomi, avverbi, congiunzioni, preposizioni, ma anche verbi e aggettivi) e molti derivati da una stessa base. È vero che i confini tra i due tipi testuali si sono progressivamente ridotti e che non mancano esempi di commistioni (pensiamo a opere come il Dizionario enciclopedico italiano della Treccani), ma, in linea di massima, questa distinzione si può considerare ancora valida, specie per quanto riguarda i nomi propri, che continuano a rimanere esclusi dai dizionari.
In realtà, la tradizionale distinzione tra i nomi comuni (che indicano insiemi di elementi omogenei) e i nomi propri (che hanno invece una funzione individuante, perché riferiti a un unico essere o a una sola cosa) è stata talvolta messa in discussione anche sul piano teorico. Inoltre, dal punto di vista storico, le due categorie non costituiscono due insiemi non comunicanti: da un lato ci sono stati nomi comuni che, nel corso tempo, sono diventati nomi propri (è il caso di molti toponimi, che originariamente erano motivati, e anche di vari nomi di mestiere, divenuti cognomi), dall’altro si è avuto quel processo inverso (studiato magistralmente da Bruno Migliorini) per cui alcuni nomi propri sono diventati nomi comuni, per lo più in seguito a fenomeni di antonomasia (particolarmente frequenti con i nomi di persona: per es. adone, mecenate, dongiovanni) o di ellissi (soprattutto per i nomi di alimenti e di bevande: formaggi come asiago, gorgonzola, spumanti come asti, prosecco ecc.).
Un altro motivo di avvicinamento tra le due categorie è costituito dal fatto che i nomi propri sono spesso alla base di nomi comuni: si pensi anzitutto ai derivati, tra cui spiccano per numerosità gli etnici, che indicano gli abitanti di una città o di un determinato territorio, ma anche ad alcuni composti (come bagnomaria) e in particolare alle cosiddette polirematiche (gruppi di parole che hanno un significato unitario), tra le quali non mancano espressioni che contengono al loro interno un nome proprio. Un dizionario come il GRADIT, grazie anche all’ampiezza del lemmario, è stato molto accogliente nei confronti dei nomi propri, includendo nel lemmario moltissimi etnici (quelli di quasi tutti i centri abitati italiani e anche di stati e città esteri) e ammettendovi anche un cerrto numero di antroponimi e toponimi (Cartesio, san Pietro, Roma) per registrare (anche) sotto queste entrate le polirematiche in cui sono i nomi propri inclusi, come diavoletto di Cartesio, pesce san Pietro, marcia su Roma. Gli altri dizionari ospitano solo alcuni etnici (selezionando almeno quelli dei centri maggiori o di uso più frequente) e non i nomi propri, segnalando alcune polirematiche che li comprendono sotto la voce del nome comune che ne costituisce la testa (così, per es., diavoletto di Cartesio nello Zingarelli 2019 figura s.v. diavoletto).
Con specifico riferimento ai derivati da nomi di persone, va detto che la loro presenza nell’italiano contemporaneo è molto alta, in particolare nella cronaca politica e nel mondo dello spettacolo. Lo documentano i repertori di neologismi, che del resto si basano prevalentemente sui giornali, ma ognuno di noi nel proprio uso personale crea, occasionalmente, formazioni del genere, per riferirsi a parenti, amici e conoscenti. Moltissimi sono i prefissi, gli affissi e i confissi che possono formare nomi comuni da nomi propri e tra le nuove formazioni abbiamo aggettivi, nomi e anche verbi. Tra i prefissi che si legano a nomi propri si ricordino almeno pre-, post-, anti- e pro-. Ancora più numerosi sono i suffissati, tra i quali (senza pretendere di fornirne una lista completa) si possono citare i numerosi derivati aggettivali (alcuni dei quali frequentemente convertiti in nomi) in -esco (baudesco), -iano (dalemiano), -ino (travoltino) e -ista (dipietrista); i derivati in -ista si legano spesso a formazioni nominali in -ismo che indicano movimenti, credenze e tendenze, ma anche correnti di partito, ecc. (beppegrillismo). Non mancano derivati da nomi propri tra i verbi formati con i suffissi -eggiare (che si usa spessissimo per indicare che qualcuno sembra imitare nel comportamento un’altra persona: Salvini renzeggia ‘si comporta come Renzi’) e -izzare (negli anni Novanta la RAI si è berlusconizzata ‘ha trasmesso programmi simili a quelli che si vedevano sulle reti di Berlusconi’) e tra i corrispondenti nomi d’azione in -mento e -zione. Numerosissime sono anche le formazioni in -ata che indicano, quasi sempre con una connotazione negativa, un atto considerato tipico della persona il cui nome è alla base del derivato (si pensi alle cassanate, dal calciatore Antonio Cassano, di cui si parlava qualche anno fa).
I derivati da nomi propri trovano spazio, come si è detto, nei dizionari di neologismi, ma solo di rado riescono a entrare stabilmente nella lingua e/o nella lessicografia, in rapporto all’importanza del personaggio a cui si riferiscono (importanza che in genere si può appurare solo a distanza di tempo). La lessicografia storica accoglieva questi lessemi cum grano salis (considerandoli, al pari degli etnici, nomi propri a tutti gli effetti e quindi escludendoli di norma dai lemmari). La lessicografia moderna è più aperta e tende a registrare soprattutto le parole che si sono allontanate sul piano semantico dal nome proprio da cui derivano per indicare qualcosa di più generale: è il caso per esempio di kafkiano e felliniano, che non si riferiscono solo al grande scrittore praghese di lingua tedesca e al noto regista italiano, ma anche a situazioni o atmosfere angosciose e allucinanti in un caso, a toni surreali e onirici nell’altro (che richiamano, rispettivamente, gli scritti del primo e i film del secondo).
È stato il successo di una neoformazione recente tratta da un nome proprio che ci ha spinto a dedicare questo tema del mese ai nomi propri e ai loro derivati (già oggetto del fascicolo 56 della “Crusca per voi”). All’Accademia sono infatti arrivate di recente, a ondate, segnalazioni del neologismo vascologia, con la richiesta di valutare la parola in vista del suo possibile inserimento nei dizionari. Il termine, che indica lo studio della vita e delle opere di Vasco Rossi, sembra sia stato ideato da Vittoria Chiarenza, autrice di vari testi dedicati al rocker emiliano, che per varie generazioni di fans è anche maestro di un particolare stile di vita e di comportamento. È appena il caso di notare come la base sia in questo caso (ma non si tratta dell’unico esempio del genere) costituita dal (pre)nome dell’artista e non dal cognome, il che si spiega, tra le altre cose, col fatto che Rossi è il cognome più frequente in italiano, e come tale poco caratterizzante.
Anzitutto, è questa l’occasione per ribadire ai tanti che ci seguono e che ci interpellano che la scelta di “mettere una parola” nel vocabolario non spetta all’Accademia (che al momento non sta predisponendo un nuovo vocabolario dell’italiano di oggi): sono le redazioni delle varie case editrici che rinnovano periodicamente (a volte con scadenze persino annuali) le loro opere lessicografiche a rivedere il lemmario, a raccogliere parole nuove e a decidere quali di esse meritino di essere incluse nell’edizione più aggiornata e quali no perché destinate probabilmente a un rapido declino. L’Accademia della Crusca, all’interno del Servizio di Consulenza sulla lingua contemporanea, si occupa sì di neologismi, anche sulla base delle segnalazioni ricevute, ma col solo scopo di chiarirne l’origine, spiegarne il significato e precisarne gli àmbiti d’uso (spesso si tratta di anglismi).
Tornando alla vascologia, è vero che perfino i confissi (o suffissoidi) -logia e -logo, che indicano rispettivamente lo studio sistematico (spesso teorico) di un ben preciso campo concettuale e l’esperto di una particolare disciplina, possono essere aggiunti a nomi propri di persone ritenute meritevoli di trattazioni specifiche, ma in genere si tratta di formazioni occasionali, spesso scherzose o comunque di uso circoscritto, non destinate a entrare stabilmente nel lessico generale. Infatti, tra le oltre 800 formazioni in -logia comprese nel GRADIT ce ne sono alcune (poche) che hanno per base un toponimo o un etnico (albanologia ‘studio della lingua e della letteratura albanese’, assiriologia, cremlinologia ‘studio e interpretazione della politica dell’Unione Sovietica e, dopo il 1991, della Russia’, egittologia, etruscologia, sinologia ‘studio di lingua, letteratura, cultura cinese’), ma quelle che partono da un nome proprio sono davvero eccezionali. A parte due termini della teologia cattolica, cristologia e mariologia, le uniche altre due che sono riuscito a individuare sono dantologia e petrarcologia, che indicano rispettivamente il complesso degli studi su Dante e di quelli su Petrarca, studi, gli uni e gli altri, numerosissimi e distribuiti nel corso di vari secoli. Visto allora che neppure le Tre Corone sono presenti al completo, perché manca il derivato da Boccaccio, direi che per l’inserimento nei dizionari italiani di altre formazioni con -logia che hanno per base il nome di un personaggio vivente c’è ancora tempo.
L'Accademico Mirko Tavoni affronta il tema dell'insegnamento della grammatica a scuola e del suo rapporto con le effettive competenze linguistiche e metalinguistiche degli italiani.
L'Accademico Vittorio Coletti invita a riflettere e discutere su due tendenze dell'italiano contemporaneo.
La vicepresidente Rita Librandi fa il punto sul tema dei neologismi.
Il Consiglio direttivo dell'Accademia (Paolo D'Achille, Rita Librandi, Annalisa Nesi, Federigo Bambi, Rosario Coluccia), riprendendo la questione del genere nella lingua, più volte e sotto vari aspetti affrontata dalla Crusca, propone come Tema di discussione una riflessione e alcune indicazioni per un uso non discriminatorio della lingua.
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Intervento di chiusura di Paolo D'Achille
Il fatto che il mio tema del mese abbia suscitato solo due commenti, entrambi positivi (ringrazio molto chi li ha postati), mi esime da un lungo intervento conclusivo. Posso limitarmi a una riflessione in merito a quanto è avvenuto e a una postilla al discorso fatto, con alcuni esempi legati all’attualità. La sostanziale assenza di reazioni può significare che il mio discorso ha convinto tutti (come dice il proverbio, “chi tace acconsente”: i commenti in genere esprimono un dissenso), oppure che l’argomento affrontato non era di particolare interesse. Se è vera la prima ipotesi, non posso che esprimere la mia soddisfazione per la tacita approvazione dei lettori; nel secondo caso, dovrei rammaricarmi per aver proposto di dedicare il tema del mese all’onomastica nella lessicografia. L’ho fatto perché gli inviti rivolti all’Accademia a pronunciarsi sulla vascologia erano davvero numerosi e il modo migliore per rispondere era a mio parere quello di affrontare la questione da un punto di vista generale. Come credo di aver spiegato a sufficienza nel testo, i nomi propri e soprattutto i loro derivati – che sono, nell’uso comune, numerosissimi – entrano nei dizionari cum grano salis. L’interesse di queste neoformazioni (si tratti di parole o di locuzioni), sia sul piano morfologico sia su quello semantico, è invece notevole ed è ben comprensibile che le raccolte di neologismi accordino a occasionalismi del genere un certo spazio. Taluni, del resto, resistono per un certo periodo e altri, periodicamente, riaffiorano: è il caso delle “balotellate” (le azioni e i comportamenti, non sempre ineccepibili, del calciatore Mario Balotelli), di cui si parlava qualche anno fa e di cui si è riparlato quest’estate. Ogni tanto, inopinatamente (non sempre in ragione della notorietà della persona che porta quel nome), può capitare che parole derivate da un nome proprio o espressioni comprendenti un nome proprio si stabilizzino nel lessico. Resto in ambito calcistico, visto che è appena ripreso il campionato di serie A, e cito l’espressione “zona Cesarini”. Il calciatore italo-argentino Renato Cesarini non è passato alla storia (sportiva) per particolari qualità, ma (come ricorda anche la voce di Wikipedia a lui dedicata) gli capitò di segnare all’ultimo minuto in una partita di campionato e, subito dopo, nell’incontro Italia-Ungheria del 13 dicembre 1931. Così, sulla base di questi due soli gol, le cronache sportive iniziarono a parlare di “zona Cesarini” (soprattutto dopo la preposizione in) per riferirsi alle reti arrivate nei minuti finali di una gara o nei minuti di recupero. Dal linguaggio sportivo l’espressione (tuttora viva) è entrata anche nella lingua comune per indicare, in senso estensivo, un’azione effettuata appena in tempo per risolvere positivamente una questione o per rimediare a una situazione di difficoltà. Anche Massimiliano Cencelli, un funzionario della Democrazia Cristiana attivo negli anni sessanta, non ha dato un contributo particolarmente significativo alla vita politica del paese e nessuno si ricorderebbe di lui se non si parlasse periodicamente, nelle cronache della politica (anche in questo caso possiamo riferirci all’attualità), del “manuale Cencelli”, per indicare l’attribuzione delle cariche (ministeri o altro) effettuata non sulla base di competenze specifiche, ma secondo una logica di spartizione tra i vari partiti (o le loro “correnti”) che compongono la maggioranza di governo. Cencelli, in un’intervista, dichiarò esplicitamente che questa era allora la prassi e così il suo nome continua, a distanza di molti anni, a ricorrere sulle pagine dei giornali. Insomma, nel bene e nel male, i nomi propri alimentano il lessico dell’italiano, come di altre lingue; è giusto che le raccolte di neologismi e gli studi sui vari linguaggi settoriali li registrino. La lessicografia generale, però, deve essere molto più prudente al riguardo: lo stesso GRADIT include infatti nel suo ampio lemmario Cesarini con la sua zona, ma non Cencelli col suo manuale, ritenendo (giustamente) che la seconda espressione sia ancora una sorta di tecnicismo gergale e che la prima sia invece entrata nella lingua comune.
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