Scrivere a mano

L'accademico Rosario Coluccia invita a riflettere e discutere sul tema dell'importanza della scrittura a mano, competenza che necessita di essere coltivata tanto quanto quelle digitali.

Novembre 2020


Rosario Coluccia

Alcune settimane fa è circolata in rete una petizione, indirizzata alla ministra Azzolina in occasione dei rientro in classe, che tocca un argomento a prima vista marginale: "Promuoviamo la bellezza della scrittura a mano", si intitola la petizione. I promotori partono da una considerazione pratica, quella della configurazione dei nuovi banchi monoposto di cui le scuole si sono dotate quest’anno. I nuovi banchi sono di dimensioni ridotte per occupare meno spazio e anche per favorire l’utilizzo di pc e di tablet. Qui può annidarsi un rischio. "Pur ritenendo che il processo di digitalizzazione della Scuola italiana, e più in generale del Paese, sia indispensabile, siamo assolutamente convinti che la scrittura a mano dei nostri studenti debba essere, nella sua straordinaria bellezza, stimolata il più possibile. È scientificamente provato, infatti, che la scrittura a mano, soprattutto in corsivo, produca enormi benefici per lo sviluppo cognitivo nell’età dell’infanzia perché accende nel bambino aree del cervello deputate al pensiero, al linguaggio, alla manualità e alla memoria". Per concludere: "Chiediamo per questo al Ministro dell’Istruzione Lucia Azzolina e agli insegnanti di ogni ordine e grado della Scuola pubblica e privata italiana il massimo impegno affinché l’utilizzo della scrittura a mano sia promosso, favorito e incoraggiato".

Al di là del titolo che vuol essere seducente, la petizione tocca contenuti di vasta portata. Non è una sollecitazione un po’ fatua alla “bellezza”, parola sempre più spesso usata a caso, senza specificarne i contenuti, applicata a oggetti e situazioni diversissimi, evocata con le finalità più varie. Non è neanche un complessivo nostalgico invito a ripristinare nella scuola del ventunesimo secolo pratiche didattiche del passato. Fino alla scuola degli anni ’60 del Novecento bambini e ragazzi si sono sempre esercitati nella “bella scrittura”. L’ora di calligrafia era inserita fra le materie di studio; poi fu abbandonata, giudicata strumento educativo sorpassato, mortificante della creatività.

Un dato, per quanto esterno, pare difficilmente contestabile. Gli studenti dei decenni passati per la maggior parte erano in condizione di produrre temi, riassunti e diari con nitidezza e pulizia quasi tipografiche. Meno gradevole la forma esterna dei testi elaborati da gran parte dei ragazzi di oggi. Da anni gli insegnanti della scuola primaria e media segnalano la crescente difficoltà dei loro allievi a scrivere manualmente. Nei testi redatti a mano i caratteri appaiono incerti e disallineati, con parole mal disposte sul rigo, con i tratti delle singole lettere a volte difficili da decifrare, con vacillanti legamenti tra una lettera e l’altra, con incongrui miscugli di stili e di caratteri nelle stesse parole o nella stessa sequenza di parole: corsivo e stampatello, maiuscolo e minuscolo. Non vale solo per i bambini delle elementari o al massimo delle medie. La difficoltà di scrivere a mano è presente in adolescenti delle scuole secondarie superiori e coinvolge in maniera preoccupante i giovani universitari. Spesso gli scritti manuali degli studenti medi e universitari rasentano l’indecifrabilità, con pensieri sconclusionati, in una forma che non rispetta gli standard minimi di coerenza e coesione.

L’aspirazione a una scrittura ordinata e ben leggibile non è un fatto estetizzante. La scarsa connessione neuro-cerebrale tra pensiero e manualità crea ritardi nello sviluppo del linguaggio, parlato e scritto. Ne viene coinvolto il processo cognitivo di bambini e adolescenti, fondamentale perché implica l’esercizio di una capacità umana molto antica (la scrittura è stata inventata più o meno cinquemila o cinquemilacinquecento anni fa), che oggi corriamo il rischio di perdere. Diciamolo in maniera esplicita. La scrittura a mano non può essere sostituita dalla scrittura su tastiera, sono entrambe utili perché assolvono a funzioni diverse. Nel mondo occidentale bambini e ragazzi sono fortemente sedentarizzati; alcuni non sanno abbottonarsi i vestisti o allacciarsi le scarpe (sono in gran voga scarpe senza lacci, definite “a strappo” o “con strappi”; praticissime, assicura la pubblicità, e crescono le vendite delle scarpe a strappo); altri non sanno lavarsi i denti da soli; altri non riescono a fare operazioni semplici (tracciare cerchi e rettangoli con l’aiuto di compasso e di righello) o addirittura attività semplicissime (ridurre un foglio di carta in segmenti più piccoli tendenzialmente uguali). E, nello stesso tempo, mostrano carenze espressive e linguistiche. Redigere testi scritti in maniera chiara e ordinata è un eccellente allenamento cerebrale.

Una ricerca coordinata da Benedetto Vertecchi, università di Roma Tre, ha mostrato che, con opportuno allenamento alla scrittura manuale, bambini di terza, quarta e quinta elementare, migliorano progressivamente la qualità grafica dei loro testi e nello stesso tempo ottengono una maggiore appropriatezza ortografica e una più accurata selezione del lessico. A livello cerebrale esiste un legame tra attività manuale e area del linguaggio, che si influenzano reciprocamente. Nel tracciare manualmente i caratteri del corsivo al cervello del bambino è richiesto uno sforzo in più, la forma di ciascuna lettera deve essere continuamente plasmata perché sia possibile legarla alle altre. Si tratta di una sfida che non è presente nel carattere stampatello o quando si adoperano strumenti elettronici come il touchscreen, che richiedono una gestualità semplice e ripetitiva.

La difficoltà di scrivere nitidamente ha riflessi sulla qualità dell’apprendimento e sulla capacità di coordinare il pensiero. La caduta investe sia la capacità di tracciare adeguatamente i caratteri sul foglio, sia quella di organizzare correttamente la sequenza di parole e le frasi necessarie per trasmettere il messaggio. Mettiamo per ipotesi che nessuno scriva più con carta e penna, che si usino solo mezzi digitali. Il correttore automatico riduce la consapevolezza ortografica: non c’è bisogno di conoscere l’ortografia delle parole, il correttore automatico vi provvede al posto nostro. C’è di più. Il ricorso ossessivo alla funzione “copia e incolla” riduce la necessità di sviluppare una linea argomentativa coerente. La procedura fu inventata nel 1973 da Lawrence Gordon Tesler (morto nel febbraio 2020), ricercatore della Xerox a Palo Alto, con lo scopo a prima vista meramente strumentale e pratico, quasi banale, di risparmiare a chi digita la fatica di riscrivere manualmente parole o frasi. Invece ha avuto una portata dirompente, ha influito sulle strutture mentali di chi elabora un testo, ha cambiato la maniera di pensare e di fare ricerca, trasformando il modo in cui oggi vengono percepiti la organicità di un testo e concetti quali la ripetizione e il plagio. Prima che esistesse il “copia e incolla”, appropriarsi di un testo altrui e includerlo nel proprio (operazione dolosa) richiedeva la riscrittura a mano o a macchina del brano copiato e comportava almeno un certo impegno intellettuale: non era possibile riscrivere qualcosa senza comprenderlo abbastanza profondamente. Oggi non è così. Nel web ci sono miliardi di pagine che non sono altro che la copia di altre pagine, in una sequenza senza storia, senza origine e senza fine. Si può copiare qualsiasi cosa senza interrogarsi sulla sua plausibilità, senza nemmeno sforzarsi di conoscerne a fondo il significato, è sufficiente uno sguardo alla prima riga o alle prime parole, per assicurarsi di non essere del tutto fuori strada. Al pari di ogni altra invenzione, quella di Tesler è utile e pericolosa nello stesso tempo. Sicuramente non va criminalizzata a priori. “Copia e incolla responsabilmente” potrebbe essere un buon motto. E verifica sempre. La tecnologia abitua a pensare che c’è sempre una risposta all’esterno e non nella nostra testa. Ne consegue l’abbandono del discernimento e la caduta verticale della memoria: perché memorizzare una data, un nome, un verso? Cerco nella rete, lì c’è tutto.

Torniamo al punto da cui siamo partiti. Il recupero della scrittura a mano è un obiettivo importante, anzi importantissimo, perché va ben al di là della chiarezza (a fini interpretativi) delle scritture. (Che non è poco). Lo ha ribadito, in più occasioni, Francesco Sabatini, presidente onorario dell’Accademia della Crusca, le cui argomentazioni provo a riassumere nelle righe seguenti. Non si tratta di una sorta di mania passatista dei “letterati”, è tesi sostenuta su basi scientifiche dai neurologi. Uno di questi (Leonardo Fogassi) ha ribadito di recente che "l’area più ampia e sviluppata della corteccia cerebrale è quella collegata ai movimenti più fini: quelli compiuti dalle mani e dalla bocca". Le mani sono responsabili di infinite attività, compresa quella della scrittura accurata. La bocca produce i movimenti articolatori compiuti per parlare, che devono essere ben marcati: l’immagine sonora si fissa nella memoria. Sabatini mi invita a divulgare un’immagine che ha disegnato un neurologo canadese (Wilder Penfield) mezzo secolo fa, una delle variazioni del suo Homunculus: mani e bocca sono enormi, testimoniano il ruolo centrale che questi organi ricoprono nello sviluppo della storia dell’uomo. Evidenze sconosciute nella cultura comune e, quasi sempre, ignorate da coloro che operano nella scuola.

Tocca a noi diffondere questi contenuti innovativi, gli esiti saranno benefici. Incoraggiando la scrittura manuale (senza rinunziare alle opportunità del digitale) la nostra Accademia riafferma il suo compito statutario: sostenere la lingua italiana e promuoverne lo studio e la conoscenza. Il recupero della scrittura a mano merita grande attenzione. Senza demonizzare pc, tablet e smartphone che devono affiancare, non sostituire, la modalità tradizionale di scrittura. Vecchio e nuovo possono convivere, non sono in contrasto, l’uno non esclude l’altro. Accostiamoci al nuovo senza rinunziare al vecchio, è questa la sfida.


Allegati

Redazione
04 gennaio 2021 - 00:00
Commento di chiusura di Rosario Coluccia

Ringrazio i numerosi intervenuti per la qualità dei commenti al Tema del mese Scrivere a mano, che esprimono interesse per l’argomento e offrono spunti per ulteriori riflessioni.
Colpisce, prima d’ogni cosa la varietà degli approcci, umani e professionali, che i testi di commento mettono in evidenza. L’allenamento alla scrittura a mano, fin dai primi anni delle elementari, è sollecitato da Chiara Gherardi, che lo ritiene assai proficuo anche per le più giovani generazioni di nativi digitali; è evocato da Andrea Giunti, che raffronta la attuale diffusa desuetudine alla scrittura manuale con l’assetto assai più ordinato e visivamente gratificante di registri di fine Ottocento, da lui consultati per motivi professionali; è richiamato da Maurizio Bassoli e da Fabrizio Ghittino, anche sulla base di considerazioni personali, a partire dal ricordo dei lontani anni scolastici e dai suggerimenti dei maestri, suggerimenti un tempo negletti e oggi rivalutati, in quanto ritenuti (a ragione) una forma funzionale (oltre che attrattiva) di ordine e di chiarezza espositiva.
L’attrattività della scrittura manuale, considerata non orpello estetizzante ma elemento basilare della comunicazione scritta, ricorre nelle formulazioni di Serena Conte (che mette in campo la coesistenza, nella sua quotidiana attività di avvocato, di carta e penna per prendere appunti, sviluppare ricerche e annotare idee e insieme di PC, tablet e cellulare, mezzi che accelerano e snelliscono il lavoro); di Mario Nanni (che ricorda le sue impressioni di giornalista esaminatore degli scritti dei giovani giornalisti agli esami di Stato per l’abilitazione professionale); di Diego Simini (che dai suoi studi di ispanististica estrae un piacevolissimo dialogo tra Juan Carlos Onetti e Eduardo Galeano, il primo nume tutelare degli scrittori uruguaiani per vari decenni del Novecento, il secondo romanziere ancor giovane e alle prime armi).
Aprono la via a indagini multidisciplinari di grande prospettiva le considerazioni che riguardano sia le connessioni esistenti tra scrittura manuale, scrittura digitale e abilità pratiche sia i riflessi di tali connessioni sull’attività cerebrale. Manifestazioni diverse, tutte rientranti in quest’ambito, sono oggetto di vari interventi. Domenico Lenzi, matematico con elevate competenze anche didattiche, in tre contributi collegati richiama gli studi di Wilder Penfield e Leonardo Fogassi e cita il caso emblematico di un bimbo (di capacità assolutamente normali) in difficoltà nell’uso del corsivo a causa dei collegamenti che nella parola uniscono le varie lettere, considerati inutili dal bimbo; Claudio Olmeda evoca le ricerche del neuropsichiatra tedesco Manfred Spitzer, studioso di neuroscienze, divulgate al largo pubblico nel libro Demenza digitale; Luciano Romagnoli ricorda che scrivere e camminare eretti sono le due caratteristiche che distinguono la specie umana dalle altre; Francesco Liaci e Serena Tardiota sottolineano il profondo radicamento nei circuiti cerebrali della capacità di scrivere a mano e la valenza terapeutica di tale pratica anche per i malati di Alzheimer.
Operano istituzionalmente in associazioni dedicate alla grafia e alla scrittura Francesco Ascoli (uno dei fondatori dell’Associazione Calligrafica Italiana) e Massimiliano Cataldi (scrive per conto dell’Istituto Grafologico Internazionale “Girolamo Moretti” di Urbino). Cataldi ricorda le iniziative messe in campo dall’Istituto Grafologico Internazionale per sottolineare il valore della scrittura manuale nell’era digitale e l'importanza della sua difesa come patrimonio immateriale dell’umanità a favore delle nuove generazioni; Ascoli sollecita un più attivo coinvolgimento di scuola e università nella pratica didattica e, in generale, nelle tematiche operative trattate in questo Tema del mese.
E veniamo così al nucleo quantitativamente più cospicuo di interventi, quelli provenienti da coloro che operano nella scuola. Registro con piacere quest’abbondanza, per varie ragioni che mi permetto di sintetizzare nel modo seguente: nella scuola e nell’università si gioca la sfida decisiva, quella che segna presente e futuro della lingua e dell’intera società italiana. Insegnano o hanno insegnato nella scuola (primaria, media di primo grado e media di secondo grado) Stefania Falconetti (primaria), Angela Filomena Federico (secondaria di primo grado), Daniela Testa, Gianluca Virgilio e Porzia Immacolata Volpe (superiori); non è (ancora) nella scuola Nicoletta Chiriatti, del secondo anno di Magistrale della facoltà di Lingue Moderne, Letterature e Traduzione, che si dimostra particolarmente attenta alle complicate questioni connesse a un utilizzo precoce (e a volte esclusivo) del digitale nelle fasi iniziali dell’apprendimento scolastico. Comune è il giudizio sulla essenzialità della scrittura manuale e sulle conseguenze che l’uso indiscriminato e troppo intenso dei dispositivi digitali produce a vari livelli: ne risulta scoraggiata anche la lettura autonoma di libri e giornali da parte degli studenti e ne derivano riflessi sull’educazione complessiva dello studente e del cittadino. Del tutto condivisibile è l’invito a insistere sulla centralità dell'italiano nelle varie fasi del processo educativo: la riflessione scientifica sulla nostra lingua dovrebbe costituire la base di ogni studio, in tutti gli ordini di scuole.
Questo auspicio, da me pienamente condiviso, vorrei mettere a suggello delle nostre discussioni sul Tema del mese Scrivere a mano.

Rosario Coluccia

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Luciano Romagnoli
03 gennaio 2021 - 00:00
Buongiorno. Solo adesso ho visto questo bel dibattito. Ho sempre amato la scrittura, che è anche un modo per fare ginnastica al cervello, grazie alla muscolatura della mano e alla postura eretta della schiena. Scrivere e camminare eretti sono le due caratteristiche che distinguono la specie umana dalle altre e quindi la perdita di una delle due o di entrambe ci distingue meno dalle scimmie, per esempio. Il fatto che nell'ultimo decennio si sia perso quoziente di intelligenza, a livello mondiale, dimostra proprio questo. La prima delle riforme scolastiche dovrebbe essere il recupero della scrittura a mano (voto sulla bella calligrafia?). Scusate l'intromissione e buona giornata. Luciano

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Porzia Immacolata Volpe
02 gennaio 2021 - 00:00
Buongiorno. Sono una docente di Materie Letterarie ed insegno in un Liceo Artistico. Innanzitutto, condivido quanto espresso non solo dal prof. Coluccia, docente che seguo da tempo, ma da tutti coloro che sono intervenuti nei diversi commenti. Per non ripetermi, quindi, sono qui solo a riportare l'esistenza di interessanti esperienze didattiche sulla Calligrafia che costituiscono parte dei curricoli di alcuni licei artistici realizzate, in particolare, nelle discipline di Arti figurative per il triennio e/o Discipline Grafico-Pittoriche per il biennio. Purtroppo, nonostante tali tipi di scuole sostengano l'arte antichissima della calligrafia, noto tra gli studenti uno scollamento tra le capacità artistiche e l'uso di una bella grafia negli scritti a mano. Ciò sottolinea che la calligrafia sia relegata ad un mero "argomento" e approccio artistico fine a se stesso. Superando il confine di questo specifico ordine di scuola, a mio avviso, sarebbe opportuno risalire alla fonte del problema, richiamando l'importanza sia dei pregrafismi per la coordinazione oculo-manuale ed esercizi di digitopressione da farsi nella scuola dell'infanzia sia dello scrivere a mano nei primi anni di studio nonchè la mancanza di attenzione sul bel scrivere negli anni della scuola secondaria di primo e secondo grado. Si evince che il curricolo verticale, in generale, non tenga conto di questo importante aspetto. In tal senso, invece, deve essere costruito sulla base di precise richieste inserite a monte nei piani di studio Ministeriali, fonti imprescindibili sui quali tutti i docenti d'Italia devono stilare i propri piani di lavoro o, come prima si diceva, programmazioni annuali. Va da sé che il Ministero dell'Istruzione debba essere affiancato da prestigiosi partners come l'Accademia della Crusca, L'Accademia Nazionale dei Lincei, .... , che devono guidare una nave sui cui si debba parlare un buon italiano e saper scrivere. Senza voler sollevare polemiche, vorrei sottolineare che diverse problematiche stanno sbilanciando il peso del curricolo della scuola sulle competenze digitali, sull'uso di strumenti compensativi e dispensativi, sul raccordo scuola-lavoro... Anche le stesse prove INVALSI, inoltre, non richiedono minimamente la verifiche delle competenze calligrafiche. Quindi, occorre davvero un cambio di prospettiva ed un'alleanza formativa tale da non vedere su strade diverse le Istituzioni più importanti per la formazione del futuro alunno. Avvicinare un giovane non è sempre facile. Un approccio potrebbe essere quello di capire quello che è ora il suo mondo per poterlo integrare con i concetti alti di cui qui si sta parlando. Avvicinarsi ai giovani significa capire i linguaggi dei writers e sapere che ci sono tra loro gli appassionati di calligrafia e di lettering, può essere un avvio di attività didattica che miri ai nostri obiettivi. In proposito, segnalo un'interessante laboratorio: "Hand lettering & calligrafia creativa" in cui mi sono imbattuta casualmente in rete che, avendo a cuore l'argomento del mese, ribadisce in sintesi quanto da noi tutti espresso e attesta il diffondersi di un nuovo fenomeno che attira diversi giovani di cui ne è piena la rete. Se interessa, riporto qui il link: TEENAGER E NON SOLO: Hand lettering & calligrafia l’arte delle bella scrittura http://www.tempodieventi.com/visita/hand-lettering-calligrafia/

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Domenico Lenzi
25 dicembre 2020 - 00:00
Chiedo scusa se, per raccontare un episodio che ritengo significativo, intervengo ancora. Un caro amico e collega, dovendo trascorrere un anno di studi in Inghilterra, portò con se moglie e figlio di quattro anni. Al bimbo fu fatta frequentare una scuola privata e lì imparò a scrivere in stampatello. Tornato in Italia, per il mio amico si presentò il problema di trovare una sistemazione scolastica per il figlio, che per motivi di età ancora non poteva accedere a una scuola elementare statale. Perciò si optò ancora per una scuola privata. Li il bimbo trovò notevoli difficoltà nella scrittura in corsivo; e il padre mi confessò che, se non lo avesse conosciuto, avrebbe pensato che il figlio fosse scemo [per inciso, ora è un medico affermato]. In realtà il piccolo aveva imparato a trascrivere le lettere in corsivo. Ma allora dov'era il problema? In realtà, egli era messo in crisi dai collegamenti che nella parola univano le varie lettere, dal momento che li considerava inutili. Forse sarebbe bastato dire al bimbo che 'corsivo' deriva da 'correre' - o sbaglio? - 'fare presto'; fatto che richiede che non si sollevi la penna dal foglio. A volte i nostri bimbi sono messi in crisi da problemi banali, la cui soluzione è dietro l'angolo. Forse, con un briciolo di attenzione da parte degli insegnanti, molte difficoltà dei nostri alunni potrebbero essere superate.

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Andrea Giunti
17 dicembre 2020 - 00:00
Per motivi lavorativi mi trovo a consultare registri che partono fine '800, tralasciando i periodi nei quali venivano redatti da persone palesemente inappropriate, essi mi sono limpidi, leggibili. Non tralasciamo questa importanza del "cartaceo" (scritto in modo comprensibile), ho dei backup su floppy disk, inutilizzabili, o quasi. Tornando al focus, io scrivo in stampatello (aggiornando i registri cartacei di cui sopra), mi pare il modo più immediato e comprensibile, anche perché il corsivo non lo ricordo più (e mia mamma, buonanima, mi "bacchetterebbe"). Comunque è veramente interessante l'evoluzione, negli anni, della calligrafia.

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Domenico Lenzi
15 dicembre 2020 - 00:00
Non so se è consentito un secondo intervento. Io ci provo. A mio avviso tra scrittura manuale [non da un punto di vista estetico - da cui prescindo - ma da un punto di vista neurologico, nel senso espresso da Leonardo Fogassi e Wilder Penfield, secondo quanto Rosario Coluccia cita nel suo penultimo capoverso] e scrittura digitale non deve esserci una contrapposizione; e nemmeno una subordinazione della seconda alla prima, come sembra trasparire da qualche commento. Bensì, tra le due modalità può e deve esserci sinergia; che deve essere portata avanti con i tempi caratteristici di ciascuna delle due modalità. Per quel che riguarda la prima, l'abbandono di aste verticali e orizzontali, insieme ai cerchietti [di cui, però, un tempo si faceva un uso forse eccessivo] è stato deleterio nei riguardi dello sviluppo della motricità fine, non solo in riferimento alla scrittura manuale, ma anche in riferimento ad altre importanti attività manuali. Per quel che riguarda la seconda modalità debbo dire che essa - però con un supporto di scrittura in stampatello maiuscolo - può venire incontro sia alla insopprimibile necessità di imparare che il bambino ha, che - se non soddisfatta - può contribuire all'insorgere di forme autistiche, sia come ausilio alle difficoltà di tipo DSA: un alunno può non ricordare come si scrive una lettera, ma sulla tastiera la vede in maiuscolo e così può superare il suo problema. Per queste ultime problematiche ho scritto un abbecedario che posso inviare gratuitamente.

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Domenico Lenzi
12 dicembre 2020 - 00:00
Da matematico attento alla comunicazione e alla scrittura, ammetto che non è semplice commentare il lungo articolo di Rosario Coluccia. Debbo dire che talora ho avuto qualche perplessità, però subito dopo fugata; come nel caso della "bellezza" della scrittura a mano, per la quale poi Coluccia chiarisce il suo pensiero. La mia non è una critica: non sempre un punto di vista è percepibile dalle prime battute che lo esprimono. Comunque, condivido in pieno il penultimo capoverso di Coluccia [... Torniamo al punto da cui siamo partiti...] dove egli dice cose importanti, anche in relazione alla citazione del neurologo canadese Wilder Penfield. Però mi ha meravigliato il commento: « ... Esaminatore degli scritti dei giornalisti agli esami di Stato per l’abilitazione professionale, … davanti ad alcuni dubbi dei commissari io suggerivo questo criterio di giudizio: alla fine dobbiamo decidere se questo candidato ha o meno la capacità di "tenere la penna in mano". » Mi sembra poco perché si possa fare il giornalista! E il giudizio del suddetto esaminatore è andato ad appaiarsi a quello di Juan Carlos Onetti su Eduardo Galeano giovane. Piuttosto, anche se parzialmente fuori-tema, debbo dire che mi preoccupa il fatto che saremo costretti ogni giorno di più a scrivere in inglese, in cui si traduce male graficamente il suono delle parole. Su questo aspetto sarebbe il caso che almeno la Comunità Europea sollecitasse un accordo internazionale per una comune riforma sul modo di scrivere nelle lingue più importanti.

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Serena Tardiota
11 dicembre 2020 - 00:00
La scrittura a mano dopo essere stata assimilata nei circuiti cerebrali, permette di svincolarsi dall’uso della carta e della penna e di utilizzare anche altre modalità di scrittura come quella digitale ma l’essenza dell’apprendimento e dell’apertura alla conoscenza rimane la base di partenza. L’andamento lento della scrittura a mano permette di riflettere, di fermarsi a pensare, di sviluppare la fantasia e l’immaginazione in un percorso di narrazione che oggi più che mai viene diretta nel digitale verso l’esterno rischiando di depauperare l’intimità del silenzio della scrittura con i rumors e l’approvazione dopaminergica mediatica. Scrivere a mano è da tempo immemore terapeutico. A ciò si contrappone l’attardata similitudine dei malati di Alzheimer poiché come una sorta di patologia perdono l’uso della sequenza corretta delle frasi (soggetto+predicato+complemento) così l’uomo moderno come una sorta di patologia sa ciò che vuole ma non riesce a tradurlo in scrittura. Con la collaborazione fattiva del Dott.Francesco Liaci e della Dr.ssa Serena Tardiota .

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Diego Símini
09 dicembre 2020 - 00:00
Eduardo Galeano ricordava di aver fatto avere a Juan Carlos Onetti, allora nume tutelare degli scrittori uruguaiani alcuni scuoi racconti. Onetti lo ricevette qualche tempo dopo, non parlò del contenuto dei racconti ma si limitò a chiedergli "Ma tu scrivi sempre a macchina?", "Sì", rispose Galeano. "Non scrivi mai a mano?". "No, veramente scrivo sempre a macchina". "Ah", fece Onetti e dopo un silenzio, prima di far capire a Galeano che l'incontro era finito: "Ragazzo, prova a scrivere a mano, prova…" Galeano, perplesso, non poté fare a meno di seguire il consiglio del maestro, scoprendo con suo stesso stupore l'importanza della scrittura con penna su carta. Da allora, fino alla sua morte nel 2014, tutti i libri di Galeano sono stati scritti a mano. Il grande autore non si stancava di sottolineare il piacere intrinseco della scrittura a mano, l'unica in grado di mettere davvero in contatto il pensiero e la scrittura.

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Maurizio Bassoli
08 dicembre 2020 - 00:00
da tempo mi sono reso conto di quale sia stata per me e per la mia formazione, l'importanza di avere frequentato le scuole primarie sotto la guida di un Maestro che pretendeva l'utilizzo della penna con pennino e calamaio, nonostante si fossero già da tempo "affermate" le penne a sfera e le (ormai desuete) penne stilografiche. Tale utilizzo, che forse il docente ci aveva imposto con altri scopi , è stato per me, nel corso degli anni, foriero di riflessioni che attengono a ordine, chiarezza di esposizione e , perchè no , rispetto dell'altrui necessità di comprensione di quanto viene espresso attraverso la scrittura. Temo purtroppo che il c.d. " progresso" ucciderà presto questo basilare , splendido, strumento di comunicazione.

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DANIELA TESTA
02 dicembre 2020 - 00:00
Ringrazio per questo interessante articolo che ha messo in rilievo un problema estremamente grave che affligge le nuove generazioni. Ho insegnato Italiano e Storia nelle scuole superiori, conosco bene quale sia la situazione e ho dovuto rendermi conto delle conseguenze pesanti della mancanza della scrittura a mano così come viene descritto nell'articolo. Sono anche io dell'idea che la diffusione dei personal computer e degli smartphone o in generale dell'ingresso della tecnologia nella nostra vita possano essere una delle ragioni dell'abbandono dell'insegnamento dell'ortografia nella scuola ma ritengo che si debba anche considerare quanto male abbia fatto in questo senso anche "l'ideologia" che ha guidato la scuola e l'opinione pubblica italiane negli ultimi decenni; mi riferisco al convincimento che lo studio dell'Italiano in generale (e qui si può considerare tutto dall'ortografia alla grammatica, dalla sintassi alla letteratura) fosse qualche cosa di antico, qualcosa che definisse in negativo le differenze di classe, fosse in parole povere qualcosa da abbandonare o riformare in senso falsamente "democratico". L'italiano dovrebbe, oggi più che mai, tornare ad essere la base di ogni altro studio in tutti gli ordini di scuole; con una coscienza rinnovata, forse, si potrà porre rimedio ai problemi culturali dei nostri tempi.

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Mario Nanni marioantonionanni@gmail.com marioantonionanni@gmail.com
02 dicembre 2020 - 00:00
La scrittura a mano Elogiare la scrittura a mano non è un atto passatista, un rimpianto dei tempi in cui si scriveva con la penna d’oca. E’ qualcosa di diverso e qualcosa di più: è compiere un atto sentimentale, essere direttamente connessi con l’espressione dei pensieri, dei concetti, della stessa interiorità. La macchina per scrivere, ieri, la tastiera del computer , oggi, sono diaframmi, reali anche se invisibili, funzionano come subliminali barriere. Esaminatore degli scritti dei giornalisti agli esami di Stato per l’abilitazione professionale, nel decidere se ammetterli o no agli orali, davanti ad alcuni dubbi dei commissari io suggerivo questo criterio di giudizio: alla fine dobbiamo decidere se questo candidato ha o meno la capacità di ‘’ tenere la penna in mano’’. Eppure gli elaborati erano stati redatti con il computer!. Lo scrivere a mano, dunque, è passato anche in proverbio, è diventato anche un modo di dire. Tralasciando, per brevità, le importanti acquisizioni delle neuroscienze che valorizzano la scrittura a mano, mi limito a un’altra osservazione. La scrittura manuale mi dà l’idea di una scrittura più in presa diretta, senza mediazioni; scrivere a mano, è come usare la parlata del dialetto, lingua della spontaneità e del cuore, rispetto alla lingua italiana studiata e imparata, con un ulteriore processo di mediazione rispetto al dialetto, acquisito quasi con il latte materno.

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Nicoletta Chiriatti
30 novembre 2020 - 00:00
Scrivo dall'Università del Salento, facoltà di Lingue Moderne, Letterature e Traduzione, II anno di Magistrale. Ritengo personalmente che la scrittura su carta debba continuare ad esistere. È molto importante per uno studente di scuola elementare saper tradurre i propri pensieri in una scrittura lineare, ovvero coesa e coerente; è poco probabile che questo avvenga su un dispositivo come un tablet, poiché la velocità è una delle caratteristiche della scrittura digitale. Proprio a causa della velocità di scrittura si utilizzano abbreviazioni, si incorre in errori ortografici; o peggio, lo strumento digitale corregge in automatico l'errore, non consentendo allo studente un reale apprendimento. L'utilizzo esclusivo di una scrittura su mezzi tecnologici già nella scuola elementare, a mio parere, rischia quindi di annullare le fasi importanti di apprendimento attraverso le quali lo studente "costruisce" la sua calligrafia, ragiona sulle strutture sintattiche e testuali e le mette in pratica.

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Stefania Falconetti
28 novembre 2020 - 00:00
Buongiorno, come docente di scuola primaria non posso che constatare di ciclo in ciclo quanto sia difficile insegnare a scrivere in corsivo...i bambini manifestano sempre più difficoltà nell'impugnare, nel memorizzare sequenze di movimenti armonici e tondeggianti, nel padroneggiare cambi di direzione e legature...ma proprio per questo, è necessario che alla scrittura manuale si dedichi uno spazio ma soprattutto un tempo lento ed approfondito di insegnamento e apprendimento. Pena la perdita di senso e di organicità della scrittura e del pensiero. Grazie, c'è bisogno di ricordare insistentemente questa necessità.

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Chiara gherardi
27 novembre 2020 - 00:00
Grazie per la riflessione Il tema è particolarmente interessante nell’ottica della formazione delle nuove generazioni, indubbiamente digitali al 100%, fin dalle scuole elementari.

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Fabrizio Ghittino
27 novembre 2020 - 00:00
Ho riscoperto la bellezza di scrivere a mano, cosa che odiavo quando andavo a scuola e in università! Soprattutto il corsivo anche se ordine e grafia non sono il mio forte! 😅 Oggi si sta perdendo tutto ciò, specialmente le nuove generazioni, molto più smart e tecnologiche, ma per me la scrittura a mano rimane lo strumento migliore, e perché no, a volte anche più SMART

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Serena Conte
26 novembre 2020 - 00:00
Per il mestiere che svolgo, sono Avvocato, utilizzo quotidianamente PC, tablet e cellulare, strumenti che indubbiamente accelerano e snelliscono il lavoro. Ma, personalmente, non abbandono mai la sana abitudine di utilizzare carta e penna per prendere appunti, sviluppare ricerche e annotare idee.

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Angela Filomena Federico
26 novembre 2020 - 00:00
Il tema del mese presenta in maniera efficace e precisa le conseguenze di una trascuratezza nella scrittura a mano. La mia esperienza quarantennale di insegnante di materie letterarie nella scuola secondaria di primo grado conferma che si tratta di un problema enorme che riguarda la stragrande maggioranza degli studenti, pertanto è bene che se ne parli seriamente come fa l'accademico Coluccia e come ha fatto il Presidente onorario Sabatini. I testi scritti prodotti dagli studenti appaiono sempre più indecifrabili e incoerenti da un paio di decenni. Si impiegano ore per riscrivere ( non più per correggere) elaborati che contengono parole e costrutti incomprensibili a causa di grafemi molto spesso indecifrabili. La causa principale di tale regressione è, secondo l'esperienza di chi insegna nella scuola, la quasi totale impossibilità di incoraggiare gli studenti alla lettura autonoma di libri e giornali affidabili a discapito dell'indiscriminato uso dei dispositivi digitali, purtroppo incoraggiato dalla maggior parte delle famiglie. L'impegno degli accademici della Crusca a sostegno del sempre più difficile lavoro degli insegnanti si rivela perciò fondamentale per autorevolezza e per l'incisività su un numero sempre crescente di famiglie italiane.

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Claudio Olmeda
26 novembre 2020 - 00:00
Grazie mille per questo articolo. Per quello che vale, concordo in tutto. Interessanti ed ulteriori indagini su questi temi sono state condotte dal neuropsichiatria tedesco Manfred Spitzer dell'Università di Ulma e pubblicate nel libro "Demenza digitale".

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Francesco Ascoli
26 novembre 2020 - 00:00
Come storico della scrittura (sono uno dei fondatori dell'Associazione Calligrafica Italiana) non posso che essere pienamente d'accordo: i programmi tuttora in vigore purtroppo non fanno nessuna menzione all'insegnamento della scrittura a mano. Alcune insegnanti della primaria inoltre mi informano che molte di loro stanno abbandonando il corsivo e insegnando solo lo stampatello. Mi sembra tuttavia che le autorità preposte (Ministero della PI, dell'Università ecc.) non recepiscano queste istanze. Bisognerebbe arrivare a proporre un aggiornamento dei programmi della primaria e per fare questo occorrerebbe un disegno di legge apposito ad hoc.

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Gianluca Virgilio
26 novembre 2020 - 00:00
Insegno Italiano da più di trent’anni nei licei e so io quanto ho penato a correggere compiti scritti sempre peggio col passare degli anni! In tempo di pandemia, la DDI (Didattica Digitale Integrata) mi ha liberato da questa pena, speriamo ancora per poco. Ora correggo compiti digitati (spesso male) al computer, senza gli intoppi del passato. Ma non sono felice per questo. Anch’io sono tra quelli che ritengono la calligrafia essenziale per l’educazione dello studente e del cittadino, perché essa è il modo in cui questi si presenta agli altri. La scrittura non esiste se non per esser letta da altri. Si può, si deve scrivere senza sciatteria, con semplicità e garbo, a partire dalla propria firma. Pertanto, non sono nostalgico di quei caratteri barocchi con cui il vecchio bibliotecario della mia città vergava le schede del catalogo della biblioteca civica, ma vorrei tanto che a tredici, quattordici anni, quanti ne ha il ragazzo che giunge al liceo, al momento del compito scritto, non mi chiedesse: “Prof, posso scrivere a stampatello?”, lasciando sottinteso che il suo corsivo è illeggibile. Allora, diciamolo pure: la calligrafia è compito delle maestre. Se l’allievo non impara a scriver bene nella scuola elementare, non imparerà più. La calligrafia è scomparsa, vittima di tastiere meccaniche e poi elettroniche e informatiche. All’impiegato di concetto non si chiede più di saper scrivere bene, ma di saper digitare bene. È la macchina che ce lo chiede, e, dietro la macchina, l’uomo interessato all’utile, al guadagno, al potere. Che importa se la sua firma è illeggibile? La si può esibire lo stesso, come faceva Trump col suo pennarello nero: cacografia, illeggibile!

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Massimiliano Cataldi
26 novembre 2020 - 00:00
Buonasera, scrivo per conto dell’Istituto Grafologico Internazionale “Girolamo Moretti” di Urbino di cui, proprio quest’anno, si celebra il cinquantesimo anno dalla fondazione. Scrivo questo commento per ringraziarvi di aver messo in evidenza una tematica che ci riguarda da vicino e che è attualmente oggetto di un progetto comunitario attivato con il programma Erasmus plus, in collaborazione con l’Università di Wroclaw in Polonia, l'Università di Bucarest in Romania e con la partecipazione di scuole italiane, polacche e rumene. Il progetto è denominato HALO - Handwriting Analysis as methodology to defend Learners creativity and reinforce Orientation e ha l’obiettivo di valorizzare la scrittura manuale come modalità espressiva che rinforza la creatività degli studenti ed è utile ad integrare le metodiche di orientamento. L’intenzione è di condividere e diffondere buone pratiche tramite la sensibilità di atenei e scuole europee che hanno capito il valore della scrittura manuale nell’era digitale e l'importanza della sua difesa come patrimonio immateriale dell’umanità a favore delle nuove generazioni.

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