"Un errore di ortografia non comporta un'incriminazione: però può compromettere il buon esito di una prova d'esame". L'Accademico Luca Serianni propone ai lettori una discussione sul confronto fra norma giuridica e norma linguistica.
Dicembre 2014
È tradizionale, anche se variamente declinato, un parallelo tra norma giuridica e norma linguistica. In entrambi i casi si ha una disposizione condivisa da una comunità, la cui violazione fa scattare una sanzione. Un errore di ortografia non comporta un'incriminazione: però può compromettere il buon esito di una prova d'esame, dalla scuola ai concorsi pubblici, e può squalificare culturalmente chi lo commette: ci fideremmo davvero di un avvocato o di un medico che scrivessero a invece di 'ha' e coleggio invece di 'collegio'? Probabilmente ci verrebbe il sospetto che siano altrettanto precarie le rispettive conoscenze in diritto processuale o in anatomia patologica.
Come sa qualsiasi matricola di Giurisprudenza, la norma giuridica riguarda l'azione esterna del soggetto, senza interferire sui suoi processi psichici che non si siano manifestati nella realtà sensibile. Anche la norma linguistica non si applica al modo in cui il linguaggio è organizzato dalla nostra mente e, in più, non riguarda quelle che possiamo considerare le condizioni primarie d'uso di una lingua. Ogni parlante madrelingua parla nelle varie situazioni quotidiane con assoluta naturalezza, come quando respira o deglutisce, senza porsi il problema del "come si dice". A nessun italofono verrebbe mai in mente di chiedersi se deve usare il pronome io, quando dice «Ricordati di me»; l'alternativa *ricordati di io non è "sbagliata": è semplicemente inesistente, è agrammaticale, come si dice in linguistica.
Ma non parliamo sempre in condizioni di spontaneità: possiamo trovarci a sostenere le nostre ragioni in un contesto formale e tendenzialmente ostile (un esame, un colloquio di lavoro, un interrogatorio di polizia). Allora diventa decisivo non solo che cosa diciamo, ma anche come: la strategia espositiva, il lessico scelto, il controllo della gittata periodale, e magari la mimica, la prossemica, l'abbigliamento. E, oltre a parlare, abbiamo molte occasioni di scrivere: in questo caso le deviazioni dalla norma sono più evidenti e stabili (anche se nell'era di Internet questo requisito ha perso rigidità).
Di qui il tradizionale peso assegnato all'ortografia che, in sé, non è certo la componente fondamentale di una lingua, visto che riguarda solo una faccia della medaglia (lo scritto, non il parlato), e per giunta quella più superficiale; ben più importanti, sul piano della competenza linguistica, sarebbero, per esempio, il dominio della gittata sintattica o la padronanza di un lessico ricco e attento alle sfumature semantiche.
Come la norma giuridica si fonda su fonti di diritto (non necessariamente codificate in un corpus di leggi: pensiamo alla common law anglosassone), così la norma linguistica si fonda su fonti, puntuali e diffuse. Tra le prime, troviamo i tradizionali strumenti sui quali si costruisce la competenza linguistica: grammatiche e dizionari; tra le seconde, l'uso dei parlanti che, qualora non susciti reazioni di rigetto nella comunità di riferimento (come gli errori ortografici che abbiamo citato in apertura), finisce con l'assumere lo statuto di norma. Oggi nessuno troverebbe più da ridire su lui soggetto o sul costrutto pollo allo spiedo che nell'Ottocento venivano considerati estranei al corretto uso linguistico: lui era riservato all'oggetto e ai casi indiretti e quel costrutto veniva bollato come francesismo. Viceversa, Leopardi poteva scrivere facci e vadi, che oggi risulterebbero errori marchiani.
Dopo tante analogie, ecco dunque una differenza fondamentale tra lingua e diritto: la maggiore volatilità delle norme linguistiche, che evolvono nell'uso reale degli utenti prima che la tradizionale codifica grammaticale ne prenda atto.
Luca Serianni/Accademia della Crusca
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