L'accademico Luca Serianni propone ai lettori una riflessione sulle strategie da attuare per migliorare la competenza linguistica italiana degli studenti della scuola superiore di primo e secondo grado.
Novembre 2017
Nel luglio 2017 la ministra Valeria Fedeli ha incaricato una commissione, coordinata da chi scrive e composta da Massimo Palermo, docente all'Università per Stranieri di Siena, Nicoletta Frontani, docente nei licei, Antonella Mastrogiovanni dell'INVALSI e Carmela Palumbo, alta dirigente del MIUR, di elaborare «un piano di interventi operativi volti a migliorare le competenze, conoscenze e abilità nella lingua italiana delle studentesse e degli studenti della scuola superiore di primo e secondo grado». La commissione è partita dalla secondaria di primo grado (la vecchia scuola media) e precisamente dalle prove d'italiano previste per l'esame finale, che com'è naturale orientano gli indirizzi didattici degli insegnanti negli anni precedenti. Non è nostro compito allestire le tipologie d'esame, elaborate da altri organi ministeriali, ma piuttosto suggerire le linee guida più idonee per raggiungere il traguardo. I lavori sono in corso e le conclusioni sarebbero premature. Ma si possono intanto indicare alcune linee d'intervento, partendo da due considerazioni generali.
1. La creatività nell'infanzia e nella prima adolescenza è certamente un valore da preservare, ed è un requisito che trova espressione tipica proprio nella prova scritta. Tuttavia, se è innegabile che, durante l'anno scolastico, possono essere utili anche i tradizionali temi che vertono sul vissuto dell'alunno (e che possono fornire all'insegnante dati diagnostici su suoi eventuali disagi, dissimulati nel rapporto a tu per tu per timidezza o imbarazzo), alla fine del ciclo si deve puntare su qualcosa di ben diverso dall'incontrollata effusione di sé. Anche la creatività deve essere guidata verso una piena e corretta espressione del pensiero: occorre dominare gli snodi del discorso, scandendo il testo con una punteggiatura adeguata e adoperando i connettivi pertinenti; muoversi con sufficiente sicurezza nell'articolazione della sintassi; mostrare una buona padronanza lessicale.
2. Fermo restando che l'attività didattica più efficace è quella che ciascun insegnante può inventarsi di volta in volta, mettendo a frutto la propria esperienza e professionalità e soprattutto conoscendo personalmente l'insieme di individui che costituiscono la sua classe, bisogna insistere su un punto. Non c'è nulla di riduttivo o mortificante nell'affermare che il miglioramento delle competenze nella lingua madre passi attraverso esercizi puntuali. Sono esercizi che fanno leva in primo luogo sulle potenzialità espressive e fantastiche insite nel testo letterario, ma che devono estendersi anche a testi di altro tipo, dalla divulgazione scientifica alle voci di enciclopedia alla stessa analisi dei libri di testo adottati a scuola. Siamo davvero sicuri che tutti i ragazzi capiscano perfettamente quello che leggono, poniamo, nel proprio manuale di storia? Manuali, intendiamoci, in genere di buon livello e metodologicamente aggiornati, ma proprio per questo spesso densi e articolati in un linguaggio molto lontano dal parlato usuale. Tutto bene, certo: crescere significa confrontarsi con un mondo diverso da quello in cui ci trova abitualmente immersi, ma occorre assicurarsi che l'acquisizione di una lingua più complessa, quella tipica del linguaggio scritto, si realizzi per davvero.
Alcune tipologie di prove sono ormai da molti anni presenti nella pratica didattica (testo narrativo, descrittivo, argomentativo); la loro efficacia è legata alla scelta di un buon testo di partenza, che offre più possibilità di sviluppo e dalla formulazione della consegna: qualsiasi testo cambia in relazione allo scopo per il quale è scritto e al destinatario a cui ci si rivolge. Un testo argomentativo, per esempio, può essere costruito anche in forma di dialogo, dando una rappresentazione che può riuscire persino vivace di due tesi contrapposte. Una prova certamente non nuova nella pratica didattica, ma talvolta sottovalutata nella secondaria di primo grado è la comprensione e sintesi di un testo dato. Il riassunto, in realtà, è una straordinaria occasione per verificare che cosa si sia effettivamente capito del testo di partenza e in che misura se ne siano colte le informazioni fondamentali. Lo sanno bene i professionisti della scrittura, abituati a scrivere articoli rivolti a un pubblico vasto. Qualche settimana fa (nel «Corriere della Sera», del 1.10.2017), Aldo Grasso commentava sfavorevolmente la notizia «che Twitter raddoppia (il social network passerà dai tradizionali 140 caratteri a 280)» e concludeva osservando che «Lo scrivere breve non è solo un'arte o genere letterario, ma un modo di pensare». A scuola, davanti al compito scritto o anche in un'interrogazione orale, vale da sempre nell'immaginario degli alunni il principio opposto: più si scrive e più si parla, indipendentemente da quel che si dice, meglio è. Naturalmente la brevitas a cui puntare non è quella di Twitter, che si riduce a una frase che punta all'effetto di una battuta, spesso con la rinuncia ad articolare un pensiero purchessia e contentandosi come surrogato di faccine e punti esclamativi. Quando si parla di brevitas, ci si riferisce a un punto d'arrivo, che presuppone un discorso complesso, ma che si propone di metterne in evidenza le linee essenziali: si tratti di un testo altrui, da cui cogliere i nuclei informativi salienti o di un testo proprio che comunichi al lettore o all'ascoltatore il senso di un ragionamento o di un'informazione articolata.
La presenza di prove strutturate non è un letto di Procuste che coarta la personalità dell'alunno; vuole essere uno strumento per guidarne la maturazione, cognitiva prima ancora che linguistica, e per suggerire ai docenti un percorso che, per essere sufficientemente chiaro negli obiettivi e nella loro scalarità, è anche più facilmente perseguibile.
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Postilla al Tema di Luca Serianni
Ringrazio i lettori per i loro contributi e non mi soffermo sui messaggi con i quali concordo pienamente (per esempio quello di "Frequenze medie" sul fatto che le prove scritte a scuola servano non solo alla didattica dell'italiano ma alla formazione e alla maturazione complessiva dell'individuo). Solo un paio di commenti. 1. L'utilità dei manuali è indubbia e, in molti casi (il libro di storia è uno di questi), quei testi possono rappresentare, anche negli anni scolastici successivi, un'occasione per ritornare su un concetto, ritrovando e fissando nella memoria qualcosa che a suo tempo si è studiato. L'importante è che il docente monitori costantemente l'effettiva comprensione da parte degli alunni. La quantità di dati offerti da un testo oggi normalmente adottato a scuola è notevole e, nonostante lo sforzo di presentare i temi in modo accattivante (anche graficamente), non è detto (anzi!) che il tessuto verbale risulti sempre padroneggiato. La verifica della comprensione ha, nel libro di testo, la sua prima, necessaria, tappa. 2. La lingua parlata è l'esperienza originaria naturale per qualsiasi parlante e ovviamente non va penalizzata. Si dice "Vado a scuola" e non "Mi reco a scuola", inutilmente affettato. Anzi, sarebbe importante, fin dall'ultimo anno della primaria e poi nella secondaria di primo grado, abituare i ragazzi alla gestione condivisa del parlato: cioè alla discussione ordinata di tesi diverse tra due o più compagni, in cui ciascuno impari a rispettare i turni di parola e a organizzare il suo discorso puntando a essere chiaro e persuasivo. La scuola, però, ha come compito specifico quello di introdurre nell'universo della scrittura, nel dominio che dà consistenza all'immaginario fantastico ed emotivo (attraverso la letteratura), che educa all'argomentazione (attraverso la riflessione sui vari temi che si possono proporre a scuola, differenziandoli a seconda delle capacità cognitive degli alunni) e che mette a contatto con i grandi capolavori letterari. In proposito, converrà osservare che, nella secondaria di primo grado, non è opportuno affrontare, nemmeno per sommi capi, un precorso storico, dal Medioevo ad oggi; per questo c'è il triennio della superiore. E nemmeno è consigliabile proporre la lettura di testi linguisticamente e concettualmente impervi, anche se di grande valore artistico, come i "Sepolcri" foscoliani. Molto meglio affrontare, attraverso il contatto diretto con i testi, le varie tipologie letterarie, dalla poesia epica alla lirica al testo teatrale. In quest'ultimo caso, la scelta di un atto unico che si traduca anche in una rappresentazione scenica ad opera degli stessi alunni è un'ottima iniziativa didattica. Servirebbe a far capire che la parola teatrale, prima ancora di essere scritta, è in primo luogo recitata; farebbe cogliere con immediatezza il fatto che la lingua si presta a rappresentare sentimenti diversi; favorirebbe un utile esercizio di memorizzazione da parte degli alunni, coinvolgendoli in un "gioco" in cui avrebbero parte anche i più timidi e schivi. In generale, tra i testi letterari da proporre alla lettura sarebbe bene orientare la scelta verso i grandi classici italiani del Novecento (tra i tanti nomi che si potrebbero fare, mi piace ricordare quello di Dino Buzzati, un autore caro a una grande storica della lingua e appassionata didatta che ci ha lasciato qualche mese fa: Maria Luisa Altieri Biagi). O affrontare testi stranieri, da letterature moderne, ma anche dalle letterature classiche, in traduzione: dunque con abbattimento di gran parte delle difficoltà linguistiche che si avrebbero con la letteratura italiana del passato. Beninteso, il confronto diretto con la prosa di Boccaccio o di Machiavelli è un momento formativo irrinunciabile, ma da riservare alla superiore di secondo grado.
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