Nicoletta Maraschio, presidente onoraria dell'Accademia della Crusca, invita a riflettere e discutere sulla notizia dell'avvio dei lavori per la realizzazione di un museo della lingua italiana a Firenze.
Agosto 2020
Si può fare un museo di un bene immateriale in perenne movimento come una lingua? Non c’è il rischio di fissarlo in un percorso espositivo necessariamente riduttivo e semplificante? Molti pensano che anzi un museo possa essere uno strumento straordinario di conoscenza, tutela e valorizzazione della lingua. Il tema è a mio avviso affascinante e merita di essere dibattuto. Un argomento a favore del museo della lingua è che nel mondo ne esistono già molti. In Italia se ne parla da tempo, ma il “sogno” si è concretizzato nella notte delle stelle cadenti di San Lorenzo (l’immagine suggestiva si deve a Giuseppe Antonelli, autore del fortunato libro Il Museo della lingua italiana, Mondadori 2018).
Dopo tante riflessioni, iniziative e pubblicazioni, dopo i lavori propositivi di un gruppo qualificato di studiosi (coordinato da Luca Serianni), finalmente il progetto del primo Museo della lingua italiana prende corpo. La notte di San Lorenzo ha portato due grandi novità: il finanziamento e la sede, grazie a un accordo tra il Ministro Dario Franceschini, il Sindaco di Firenze Dario Nardella e l’Assessore alla cultura Tommaso Sacchi. Si passa dall’astrattezza di progetti sulla carta alla concretezza della loro fattibilità in un luogo preciso. Anche l’Italia avrà dunque il suo Museo della lingua (Per altri musei nel mondo si veda Lucilla Pizzoli, I musei nel mondo dedicati alle lingue, Istituto della Enciclopedia Italiana 2018 e Margaret Sönmez, Maia Wellington Gahtan, Nadia Cannata (a cura di), Museums of Language and the Display of Intangible Cultural Heritage, Routledge 2020).
In precedenza, si contano diverse iniziative per “far vedere” la nostra lingua e per ripercorrerne la storia attraverso immagini e oggetti: dalla mostra agli Uffizi Dove il sì suona (2003) a quella dedicata all’Homo sapiens (Roma, Palazzo delle Esposizioni 2011-2012, con ampio spazio per la Storia linguistica italiana), fino al percorso espositivo alla Sapienza di Roma, curato da N. Cannata, M. Gahtan e dai loro allievi (Dalla mostra al museo: Eurotales, il museo interattivo delle lingue d’Europa, 2019). Il Vittoriano, inoltre, è stato sede di almeno due esposizioni importanti: la prima (2011) curata da Francesco Sabatini e inaugurata dal Presidente Ciampi (L’unità della lingua e l’unità della Nazione) e la seconda, più recente (2019), Lessico italiano. Volti e storie del nostro Paese, a cura di Edith Gabrielli. E poi ci sono le pubblicazioni: i volumi della Storia della lingua italiana per immagini (diretti da Luca Serianni, 2010 segg.) e il portale VIVIT, nel sito dell’Accademia della Crusca (2013), un vero e proprio museo virtuale e interattivo, realizzato grazie al contributo di un nutrito gruppo di studiosi con competenze diverse.
Il nuovo Museo nascerà a Firenze nel complesso monumentale di Santa Maria Novella, davanti alla Stazione ferroviaria. I luoghi hanno, lo sappiamo, un forte potere simbolico ed evocativo. La prima pietra della Basilica domenicana pare sia stata posta nel 1279, esattamente ventisette anni dopo la coniazione del fiorino d’oro (1252), emblema della potenza economica della città medievale, alla quale è strettamente legato lo sviluppo di una civiltà della scrittura volgare unica in Europa. Proprio quella civiltà che avrebbe favorito nel Trecento la creazione dei tre capolavori letterari che sono alla base dell’intera storia linguistica italiana (Commedia, Canzoniere, Decameron). La facciata della Basilica si deve a Leon Battista Alberti, autore della prima grammatica del toscano parlato. La Stazione ferroviaria è il capolavoro razionalista di un altro grande architetto, Giovanni Michelucci, costruita negli anni Trenta del Novecento, in un periodo di grande fervore culturale di Firenze, quando Montale dirigeva il Gabinetto Vieusseux e scrittori e poeti illustri si incontravano alle Giubbe Rosse. Si tratta di una delle stazioni ferroviarie più grandi d’Italia, frequentata da milioni di viaggiatori italiani e stranieri. Medioevo, Rinascimento e Contemporaneità sono dentro e fuori il nuovo Museo, in un polo destinato a diventare attrattivo per un pubblico ampio; in primo luogo per le scuole e per tutti gli “amatori” della lingua italiana, ma anche per quei turisti e visitatori che siano desiderosi di uscire dagli itinerari più consueti e affollati della città d’arte.
Conviene, tuttavia, sgomberare subito il campo da ogni equivoco. Firenze è stata fondamentale nella storia della nostra lingua (basti pensare, appunto, a Dante, Petrarca e Boccaccio), ma il Museo avrà certamente carattere nazionale e internazionale. L’italiano nel mondo continua a essere amato e studiato. Eppure la nostra lingua ha bisogno di essere meglio conosciuta e valorizzata ovunque, in particolare proprio in Italia, e i giovani sono chiamati a diventare protagonisti di una nuova fase della nostra storia linguistica.
Da questo punto di vista il Museo rappresenta un atto straordinario di politica linguistica, tanto più apprezzabile alla luce della poca attenzione finora riservata dallo Stato alla nostra lingua: bene culturale fondamentale che, al pari delle altre lingue di cultura, merita di essere sostenuto, tutelato e valorizzato in modo permanente e organico. Soprattutto ora, di fronte alla globalizzazione e in coerenza con una politica linguistica europea che, almeno astrattamente, sostiene il valore del multilinguismo/multiculturalismo.
In diversi interventi abbiamo letto di un museo multimediale e interattivo, con laboratori didattici d’avanguardia. Certo. Sappiamo che ogni lingua è un bene immateriale in continuo movimento, un bene che tuttavia ha lasciato nel tempo e nello spazio tracce materiali consistenti. Le tracce dell’italiano le troviamo sparse nell’intera Penisola e al di fuori dei nostri confini. Dalla toponomastica al visibile parlare inciso su monumenti, chiese e palazzi; dai manoscritti medievali, conservati in archivi e biblioteche, alle registrazioni del parlato pubblico novecentesco e contemporaneo (quello del teatro, del cinema, della radio, della televisione), fino all’italiano cantato dell’opera lirica che ci ha resi famosi nel mondo. Per non parlare dei tanti italianismi che sono una componente essenziale del comune patrimonio linguistico europeo. Per secoli l’Italia, infatti, è stata ponte tra le lingue classiche (greco e latino), quelle del Mediterraneo (soprattutto arabo, insieme alla Spagna) e le altre lingue d’Europa. Si studierà il modo di collegare queste tracce, creando una rete di applicazioni diffuse. Il Museo guiderà ogni visitatore a ritracciare i segni di vicende linguistiche secolari, a riconoscerli e osservarli. Da Firenze al mondo, dal mondo a Firenze, perché nel Museo si esporranno naturalmente anche molti beni materiali significativi: manoscritti, oggetti, libri, quadri.
Si è insistito anche su un museo aperto a tutte le varietà: dalla lingua della letteratura e della scienza a quella del diritto e della politica, dalla lingua dell’arte e della musica a quella della predicazione, fino a quella della cucina. Certo. Tuttavia credo sia essenziale non perdere di vista un obiettivo prioritario: valorizzare le due caratteristiche fondamentali della nostra storia, ossia il multilinguismo e la continuità. Per quanto riguarda la coesistenza di più lingue, è stato notato qualche anno fa da Tullio De Mauro che l’indice di diversità linguistica in Italia è oggi particolarmente elevato: pari allo 0,59 e quindi superiore a quello di Svizzera (0,45), Austria e Spagna (0,44), doppio rispetto a quelli di Turchia (0,28), Russia e Francia (0,27) e triplo rispetto a quello della Germania (0,19). Un multilinguismo diffuso e persistente (in qualche modo parallelo alla biodiversità tipica del nostro Paese), costituito dai molti volgari medievali, e poi da italiano, dialetti, lingue minoritarie, lingue straniere e più recentemente da lingue immigrate, che evolvono in un rapporto fruttuoso di interscambio, sovrapposizioni e contaminazioni.
Quanto alla continuità, essa è è specifica dell’italiano, caratterizzato da un’estensione cronologica, dal Medioevo alla Contemporaneità, estranea alle altre lingue europee, le quali conoscono una frattura netta tra la fase antica e quella moderna. Sappiamo che una illustre tradizione linguistica (letteraria e scientifica), da Dante ad Ariosto, da Galileo a Goldoni, da Manzoni a Montale ci ha portato nel mondo; per non parlare delle parole dell’arte: Alberti, Piero della Francesca, Leonardo, Vasari… fino ai futuristi. Ma l’italiano è stato ed è anche lingua popolare, scritta e parlata dalle generazioni di donne e uomini che hanno abitato la Penisola e che l’hanno usata, talvolta con fatica, soprattutto per comunicare con chi stava altrove. Le loro lettere, e in genere le loro scritture private, sono una testimonianza preziosa dell’esistenza di una lingua comune italiana che era diffusa ben prima dell’Unità d’Italia. Studi recenti hanno aperto e allargato questa interessante prospettiva storiografica e il Museo dovrà darne opportuna testimonianza.
Entrambi questi elementi, multilinguismo e continuità, ci distinguono nel mondo, rappresentano una ricchezza della nostra storia e insieme una grande potenzialità che ci proietta nel futuro, al di là delle troppo pessimistiche previsioni della morte prossima della nostra lingua. Il Museo, che naturalmente mostrerà anche le novità linguistiche del presente portate dalla rete (e da una connessione comunicativa permanente ed estesa come non mai), sarà il luogo ideale per far conoscere a un pubblico largo, e in particolare ai giovani, un patrimonio in gran parte sconosciuto, per far crescere la consapevolezza del suo enorme valore e quindi per suscitarne o rafforzarne l’amore. In questo particolare momento, in cui è urgente avviare imprese culturali innovative, la creazione del primo Museo della lingua italiana, a mio avviso, ha un grande significato e un valore incontestabile. Il cantiere è aperto. Occorrerà naturalmente pensare a una forma giuridica adeguata e soprattutto a un disegno architettonico, ad allestimenti e più in generale a una filosofia espositiva che non solo siano in armonia con lo straordinario contesto circostante, ma anche in grado di stimolare, in grandi e piccini, tutte le curiosità e le emozioni che la nostra più che millenaria storia linguistica merita.
[*una versione più breve di questo intervento è stata pubblicata su “Il Fatto Quotidiano” (22 agosto 2020)]
L'Accademico Vittorio Coletti invita a riflettere e discutere su due tendenze dell'italiano contemporaneo.
La vicepresidente Rita Librandi fa il punto sul tema dei neologismi.
Il Consiglio direttivo dell'Accademia (Paolo D'Achille, Rita Librandi, Annalisa Nesi, Federigo Bambi, Rosario Coluccia), riprendendo la questione del genere nella lingua, più volte e sotto vari aspetti affrontata dalla Crusca, propone come Tema di discussione una riflessione e alcune indicazioni per un uso non discriminatorio della lingua.
Riprendiamo il tema del dialetto, già affrontato in altri temi del mese, trattando questa volta della sua recente ripresa nei media e in particolare nella televisione.
Evento di Crusca
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Durante il periodo natalizio gli uffici dell'Accademia resteranno chiusi il 24 e il 31 dicembre.
L'Archivio e la Biblioteca resteranno chiusi dal 24 al 31 dicembre compresi.
Per concomitanza con le Feste, la visita all'Accademia della Crusca dell'ultima domenica del mese di dicembre è stata spostata al 12 gennaio 2025 (ore 11).
Commento di chiusura di Nicoletta Maraschio:
La creazione del Museo della lingua italiana rappresenta una svolta importante nella nostra storia linguistica e apre prospettive nuove, come è stato opportunamente sottolineato negli interessanti commenti al tema del mese. Dopo poco più di ottant’anni dall’istituzione della prima cattedra di Storia della lingua italiana affidata a Bruno Migliorini (1938), Firenze può svolgere un altro compito fondamentale, quello di far conoscere meglio a un pubblico vasto, soprattutto ai giovani, le vicende millenarie dell’Italia linguistica, caratterizzata dalla presenza di molte lingue (italiano, dialetti, lingue di minoranza, lingue immigrate) e aperta al contatto e allo scambio arricchente con le lingue del Mediterraneo, dell’Europa e del resto del mondo (Daniela Testa). Un museo fortemente dinamico e interattivo che possa colmare lacune tradizionali della nostra lessicografia, aprendo per esempio un grande spazio alla lingua scientifica e a quella istituzionale (Gabriella Alfieri). Un museo per l’alta divulgazione, dunque, ma anche luogo privilegiato di collaborazione scientifica tra studiosi italiani e stranieri (Ilaria Bonomi). Occorrerà impegnarsi a fondo perché il Museo della lingua italiana sia un museo all’avanguardia, inserito in una rete fitta di collegamenti, capace di attrarre visitatori italiani e stranieri grazie a una comunicazione pronta ed efficace. E prima di tutto riesca ad attrarre in presentia le scuole, come auspica Carlo Meola. Solo un commento, tra quelli pubblicati, suona contrario alla creazione del Museo della lingua italiana (Giuseppe Mancini: “ormai la lingua italiana è pronta per il museo”). Mi permetto di dissentire. Oggi dedicare un museo a un certo personaggio o a un certo ambito non vuole certo dire imbalsamarli. Basti pensare a un solo caso, al grande successo e alla forza attrattiva e divulgativa che ha il bellissimo museo della scienza di Trento, disegnato da Renzo Piano e perfettamente inserito in quel contesto montano. Il nostro museo sarà inserito in un complesso architettonico prezioso, quello di Santa Maria Novella, ricco di arte e di storia. Saranno documentate le nostre radici e le nostre glorie letterarie e musicali, ma anche il parlato e lo scritto di generazioni di uomini e donne che hanno abitato la Penisola e l’italiano contemporaneo (Catherine Maubon sottolinea giustamente la capacità dimostrata dall’italiano “di arricchirsi al contatto di nuovi parlanti o nuovi linguaggi nel tempo breve”). L’Accademia della Crusca si è spesa per questo progetto e continuerà a seguirlo da vicino nella fase realizzativa. Il presidente Marazzini e altri autorevoli accademici hanno dedicato e continuano a dedicare molta attenzione agli anglismi incipienti, proponendo alternative italiane (Gruppo Incipit). Inoltre le recenti sentenze del Consiglio di Stato e della Corte Costituzionale contro l’uso esclusivo dell’inglese nella didattica universitaria sono state importanti a regolare questo settore cruciale dell’alta formazione, evitando la marginalizzazione e quindi la progressiva dialettalizzazione dell’italiano (Carlo Meola: “Il ridicolo inglese dei congressi e per lezioni di corsi ufficiali”). Sono tuttavia convinta, l’hanno scritto anche alcuni degli intervenuti, che solo una consapevolezza diffusa del valore storico e identitario della nostra lingua e delle sue potenzialità attuali possa costituire un freno rispetto a due degli attuali pericoli incombenti sulla nostra lingua (ma anche su altre!), quello di un suo impoverimento progressivo (Maria Luisa Villa) e quello, appunto, di un’apertura indiscriminata all’anglismo (parole e intere frasi), impiegato spesso in modo irriflesso, immotivato e poco trasparente (Francesca Fusco, Giuseppe Mancini). Il Museo della lingua italiana può contribuire in maniera determinante a rafforzare quella coscienza linguistica nazionale che anni fa Francesco Sabatini ha giustamente riconosciuto e definito “debole”.
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NOMINA SI NESCIS PERIT ET COGNITIO RERUM
Stupenda idea è quella di organizzare un museo della lingua italiana. Le parole entrano in relazione con le cose, gli eventi, la storia, le persone, il pensiero e ogni lingua è una finestra sulla realtà. Si creano incroci ed evoluzioni così complesse che il solo modo di scoprire cosa significa una parola è quello di studiarne la storia.
Le parole sono alate, volano via, diceva Omero, ma sono potenti perché bisogna essere forti per poter volare (1). Per un essere umano è impossibile pensare al di fuori di un contesto verbale: come suggerì Umberto Eco, nella nostra mente la rosa è una parola prima d’essere un fiore (2).
Dell’importanza delle parole fu consapevole anche il botanico Linneo che nel Systema Naturae ebbe l'ambizione di denominare rigorosamente tutti gli animali, le piante e i minerali conosciuti, mediante una semplice coppia di termini (binomio) indicanti il genere e la specie di appartenenza (Homo sapiens, Fagus sylvatica). “Nomina si pereant, perit et cognitio rerum” è la sua celebre affermazione che riecheggia la biblica operazione nomenclatoria assegnata nella Genesi ad Adamo il nomoteta (3).
Occorre un grande rispetto per la creatività linguistica e l’allestimento di un Museo della Lingua è una iniziativa assai opportuna per contrastare la montante, pericolosa povertà linguistica che contrassegna i nostri anni.
1. W. J. Ong, Conversazioni sul linguaggio, Armando Editore, 1993,
2. U. Eco, Il nome della rosa, Collana Letteraria, Bompiani, 1980,
3. G. Montalenti, Carlo Linneo, In Enciclopedia Italiana, Treccani; P. Rossi (ed.), Storia della scienza, 9 voll., vol. 1: La rivoluzione scientifica: dal Rinascimento a Newton, Gruppo Editoriale L’Espresso, Roma 2006.
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