L'accademica Carla Marello ed Elena Baratono, entrambe dell'Università di Torino, espongono un resoconto e una riflessione sull'insegnamento della lingua italiana ai corsi di dottorato italiani frequentati da studenti internazionali.
febbraio 2021
Elena Baratono, Carla Marello
I dottorati dell’università italiana sono area sempre più esclusa dall’italiano per via dei fautori dell’inglese lingua unica della scienza, dimentichi che ai tempi in cui il latino era la lingua della scienza gli scienziati migliori sapevano fare ricerca e divulgazione nella loro lingua madre.
A maggior ragione per far entrare l’italiano nei corsi di dottorato che reclutano studenti internazionali ci vuole un cavallo di Troia e questo è, com’è giusto in Italia, il patrimonio culturale: così a Torino la lingua italiana è riuscita a penetrare la fortezza anglofila della formazione di terzo livello, alias il dottorato. È stato infatti il dottorato Technology Driven Sciences for Cultural Heritage che nel 2018 ha promosso un Corso di Italiano per studenti di dottorato di nazionalità non italiana. Con l'approvazione della Scuola di Dottorato dell’Università di Torino, il corso è stato esteso a tutti i dottorandi non italofoni di UNITO. Per due cicli finanziato dalla Commissione Europea e dalla Compagnia di San Paolo, è ora finanziato dall'Ateneo torinese, che offre due corsi per principianti uno nel primo semestre e l’altro nel secondo, anche in considerazione delle difficoltà che alcuni dottorandi incontrano nello spostarsi in Italia.
Nel 2018 e 2019 il corso era in presenza: il corso del 2020, più volte rimandato, è stato svolto a distanza su Moodle con materiali preparati da Elena Baratono. Ai corsi in presenza degli anni precedenti gli iscritti erano molto meno numerosi di quelli che hanno seguito il corso a distanza. Il fatto che ci fossero anche dottorandi del terzo anno la dice lunga sulle “bolle linguistiche” in cui i dottorandi, specie quelli di materie scientifiche, vivono: una bolla accademica in inglese e una bolla della propria lingua madre, data la tendenza a vivere insieme ai compatrioti nei collegi o negli alloggi.
La grande adesione ha mostrato che un tipo di corso che non obbliga a spostarsi dall’ufficio o dal laboratorio (spesso molto lontano dal Centro linguistico d’ateneo), ma permette di socializzare attraverso le lezioni in sincrono, può funzionare bene, al di là del confinamento legato alla pandemia. Si tratta infatti di studenti in grado di scegliere con maggior consapevolezza una formazione linguistica che non può che avere ricadute positive sulla loro vita di studiosi e di persone inserite nella società del paese che li ospita.
Gli obiettivi del corso sono: apprendere le basi della grammatica italiana, capire e utilizzare espressioni di uso quotidiano, essere in grado di porre domande e dare risposte su argomenti attinenti alla propria vita.
Gli iscritti provenivano da più di 20 corsi di studio, in gran parte di materie scientifiche o socioeconomiche o giuridiche, e parlavano 23 lingue madri differenti. Per la docente Elena Baratono questa eterogeneità è stato un valore aggiunto, perché ha permesso uno scambio continuo di esperienze tra persone con un retroterra molto diverso. In aula le interazioni tra i dottorandi e con la docente sono avvenute oralmente in lingua italiana. Si è fatto sporadicamente ricorso all’inglese solo per la traduzione di singole parole e di brevi frasi.
Si è deciso di non suddividere i dottorandi per lingua madre o lingua ponte, volendo favorire e sostenere l’uso da parte di tutti della lingua italiana nell’unica ora di lezione in sincrono a settimana in cui potessero esercitarsi nella produzione orale.
Sulla piattaforma Moodle sono stati caricati settimanalmente i materiali di studio, gli esercizi di grammatica, lessico, comprensione della lettura e comprensione dell’ascolto. Ogni dottorando ha ricevuto una correzione personalizzata del lavoro svolto.
Anticipare i contenuti grammaticali e lessicali proponendoli prima sulla piattaforma dava ai dottorandi una settimana per studiarli, svolgere i compiti di casa, consegnarli e riceverne le correzioni, e poi di riprenderli, esercitandosi attraverso attività di produzione orale durante la lezione immediatamente successiva in sincrono. Attraverso il Forum ogni corsista ha potuto condividere con il docente e con gli altri i propri dubbi e le proprie osservazioni sulle varie attività proposte e lo ha fatto interamente in lingua italiana, senza far ricorso ad una lingua veicolare.
Tre corsiste del Master in Didattica dell’italiano L2 (MITAL2 - Dipartimento di Lingue e letterature straniere e culture moderne dell’Università di Torino, diretto dalla Prof.ssa Daniela Cacia), durante le lezioni in sincrono hanno trascritto a turno in chat quanto detto e le chat sono state salvate ed inviate ai dottorandi dopo ogni lezione, perché chi mostrava carente abilità di ricezione orale avesse un supporto scritto. Il test finale ha avuto risultati molto positivi.
Dato che questo è stato il primo corso di lingua italiana L2 rivolto ai dottorandi dell’Ateneo interamente erogato in modalità a distanza, alla fine di esso è stato inviato a tutti i partecipanti un questionario teso ad indagare quali caratteristiche delle modalità di erogazione e quali contenuti avessero riscosso maggiori consensi, e quali cambiamenti si sarebbero potuti fare per migliorare il corso in vista della sua nuova edizione.
I dottorandi hanno risposto enucleando i seguenti punti di forza: la corrispondenza e la complementarità tra le lezioni sincrone su Webex e i contenuti caricati settimanalmente su Moodle; la possibilità di praticare oralmente la lingua durante le lezioni in sincrono; la possibilità di fare le lezioni in sincrono in piccoli gruppi; la possibilità di svolgere anche esercizi di livello intermedio sulla piattaforma Moodle. È stata apprezzata la varietà dei materiali proposti sulla piattaforma perché permettevano di lavorare sviluppando più abilità.
Alcuni dei dottorandi provenienti dalle aree scientifiche hanno infine scritto che avrebbero preferito che una parte delle lezioni in sincrono e dei contenuti su Moodle fossero stati proposti in lingua inglese: gli ottimisti ci vedranno una dimostrazione dell’interesse per la cultura italiana di studenti che non hanno i mezzi linguistici per apprezzarla in italiano, ma più realisticamente è una conferma del modo in cui alcuni dottorandi stranieri, a volte incoraggiati da chi li recluta, concepiscono lo studio in Italia, cioè in un paese in cui non pensano di restare, in cui per addottorarsi non è necessario imparare la lingua italiana, in cui per interagire con i locali basta l’inglese.
Al gruppo di dottorandi che hanno chiesto di poter continuare a studiare la nostra lingua e frequentare un corso di livello intermedio nell’anno accademico 2020-21 è stato per ora risposto in maniera indiretta, cioè consentendo loro l’accesso a 10 unità di lingua e cultura italiana di livello B1 on line non guidate, “untutored” per dirla in inglese, che certo non favoriscono l’esercizio delle abilità di scrittura, in quanto composte di esercizi a correzione automatica.
Ci auguriamo che l’Ateneo torinese prenda in considerazione la buona volontà dei dottorandi che vogliono irrobustire il proprio italiano e istituisca per loro corsi intermedi, incoraggiandoli così a uscire dalle bolle linguistiche in cui vivono e a pianificare un futuro (in) italiano.
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