L’italiano istituzionale svizzero: come parla la burocrazia confederale?

di Angela Ferrari

Angela Ferrari, professoressa di linguistica italiana all’Università di Basilea e accademica corrispondente della Crusca, presenta il progetto di ricerca del quale sarà responsabile, che avrà lo scopo di studiare l'italiano istituzionale della Svizzera.  

Maggio 2020


di Angela Ferrari

L’italiano è la terza lingua nazionale e ufficiale della Svizzera: prima vengono il tedesco e il francese, e poi il romancio, che è pure lingua ufficiale ma solo nei rapporti con le persone di lingua romancia. L’italiano elvetico è una lingua che è stata molto studiata sia in Svizzera sia in Italia, e che è ormai da decenni sotto la lente permanente dell’Osservatorio linguistico della Svizzera italiana (OLSI), diretto dal collega Bruno Moretti. C’è però una sua varietà che, malgrado la sua importanza anche simbolica per le sorti dell’italiano fuori d’Italia, ha ricevuto finora poca attenzione: si tratta dell’italiano istituzionale. Esso sarà l’oggetto di un nuovo progetto di ricerca, sostenuto dal Fondo Nazionale Svizzero per la Ricerca Scientifica (FNS), che si svolgerà sotto la mia direzione all’Università di Basilea e che può contare sulla collaborazione di quattro ricercatori e due dottorandi. È previsto anche un dialogo costante con Jean-Luc Egger, capo sostituto della Divisione italiana della Cancelleria federale di Berna e membro del gruppo Incipit, attivo presso la Crusca, il quale vigila sulla diffusione degli anglismi nella comunicazione istituzionale e nella vita civile.

La ricerca che sta per iniziare verterà dunque sull’italiano delle autorità federali svizzere (legislative, esecutive e in parte anche giudiziarie) e delle autorità cantonali (esecutive e legislative) del Ticino e dei Grigioni, gli unici due cantoni svizzeri in cui l’italiano è lingua ufficiale. Si tratta in sostanza dell’italiano ufficiale scritto a Berna, a Bellinzona e a Coira. A questo aggiungeremo anche testi pubblicati sugli account ufficiali delle Amministrazioni confederale, ticinese e grigionese nei principali social network (Facebook, Twitter, Instagram): potremo così dire non solo come parlano i politici ai cittadini, ma anche come parlano i cittadini ai politici. In sintesi, le domande a cui cercheremo di rispondere sono le seguenti: com’è l’italiano delle leggi svizzere? qual è l’italiano delle amministrazioni federali e cantonali elvetiche, come comunicano cioè la Confederazione e i Cantoni con i cittadini italofoni? qual è l’italiano dei politici svizzeri parlato in occasioni ufficiali o scritto in Internet? a livello federale, l’italiano è spesso il risultato di traduzioni dal tedesco e dal francese: come sono queste traduzioni?

L’analisi sarà a tutto campo. Osserveremo le sotto-varietà dell’italiano istituzionale elvetico da tutti i punti di vista: guarderemo il lessico, le strutture grammaticali, le loro peculiarità testuali, comunicative e sociolinguistiche, collegandole costantemente con la realtà geografica, politica, sociale e culturale della Svizzera. Ciò ci permetterà di passare dalla descrizione alla spiegazione: potremo cioè dire non solo com’è l’italiano istituzionale elvetico, ma anche perché è quello che è.

Le nostre analisi saranno sempre condotte in prospettiva comparativa. Paragoneremo i nostri testi con quelli corrispondenti prodotti in Italia e nelle sedi politiche e amministrative dell’Unione Europea, senza dimenticare di andare a vedere come sono gli equivalenti svizzeri in tedesco e in francese. La comparazione è certo importante per la descrizione, ma lo diventa ancora di più quando si tratta di valutare. Sappiamo per esempio che una delle problematiche più importanti con cui si scontra l’italiano giuridico-amministrativo della Penisola italiana è il suo carattere difficile, inutilmente complesso, e il suo forte legame con la tradizione letteraria del passato, che ne fa per molti aspetti un italiano “vecchio”, superato. Ora, la problematicità dell’italiano ufficiale svizzero non è la stessa. Certo, anch’esso ha i suoi tic burocratici che lo rendono distante dall’italiano standard; ma la difficoltà maggiore con cui si scontra risulta dal fatto che è per larga parte un italiano tradotto dal tedesco e dal francese, il che gli fa correre il rischio di appiattirsi su strutture linguistiche che non sono le sue. Naturalmente, nessuno vuole contestare il diritto dell’italiano ufficiale svizzero ad avere una specificità elvetica: anzi questo è un suo tratto importante, che va rispettato e preservato. Bisogna però fare attenzione a che non finisca per perdere le sue peculiarità di fondo… Un’altra differenza tra l’italiano istituzionale di Svizzera e d’Italia potrebbe poi riguardare l’atteggiamento nei confronti degli anglismi che pervadono ormai la lingua italiana, dentro e fuori d’Italia, in tutte le sue pieghe: la prima impressione è infatti che la Svizzera – forse anche perché già impegnata a fare i conti con quattro lingue interne – sia nettamente più attenta dell’Italia a controllarne la penetrazione nell’italiano ufficiale. Il momento della valutazione sarà peraltro anche l’occasione per confrontarci con direttive, indicazioni e guide redazionali emanate dall’Amministrazione elvetica federale, ticinese e grigionese: quali sono gli aspetti che vengono normati? a che princìpi si rifanno? si può pensare di cambiarli o migliorarli?

Pur essendo fondamentalmente sincronica, la ricerca avrà anche un’apertura micro-diacronica. Sulla base di un corpus appositamente predisposto, cercheremo di capire come l’italiano amministrativo svizzero sia cambiato a partire dagli anni Settanta-Ottanta. Come sappiamo bene, gli ultimi quaranta-cinquant’anni sono stati infatti molto importanti per l’evoluzione della lingua italiana scritta, che si è fatta più agile, più vicina al parlato sostenuto. In che modo e in che misura ciò ha avuto un riflesso sull’italiano amministrativo? La sua presunta impermeabilità alla lingua “viva” è davvero una realtà anche in Svizzera? E come è cambiata la questione degli anglismi?

In generale, il progetto avrà anzitutto una rilevanza scientifica: esso permetterà, grazie ad analisi approfondite di carattere linguistico, testuale, pragmatico e sociolinguistico, un avanzamento decisivo nella conoscenza dell’italiano svizzero in generale, e dell’italiano istituzionale elvetico in particolare. Ma avrà anche ricadute per così dire applicate: i problemi linguistici e comunicativi che riscontreremo ci condurranno per esempio a ripensare, e probabilmente in parte a modulare o addirittura a cambiare, le indicazioni date dalle guide redazionali predisposte dall’Amministrazione elvetica. Senza contare la sua valenza politica, quella di dare visibilità alla terza lingua ufficiale della Confederazione, in particolare alla varietà con cui la Svizzera parla italiano con l’Italia, con l’Europa e con il mondo.


Angela Ferrari
23 luglio 2020 - 00:00

Commento di chiusura di Angela Ferrari

La ricerca sull’italiano istituzionale svizzero che comincerà quest’autunno ha, come avevo scritto, un obiettivo di carattere essenzialmente qualitativo: tenendo sullo sfondo una comparazione con l’italiano ufficiale d’Italia, con l’italiano scritto nelle sedi europee e con il tedesco e il francese elvetici, si cercherà di capire com’è questa particolare varietà linguistica, qual è la sua forza e quali le sue debolezze. A chi fosse interessato a conoscerne anche gli aspetti quantitativi – sono arrivate al mio indirizzo universitario domande in questo senso – consiglio il bel libro di Verio Pini intitolato Anche in italiano! 100 anni di lingua italiana nella cultura politica svizzera (Berna, Cancelleria federale svizzera, 2017). Si tratta di un volume che, seguendo la storia oramai più che centenaria del Segretariato di lingua italiana voluto dal Consiglio federale nel 1917 (ora Divisione italiana dei servizi linguistici centrali della Cancelleria federale), mostra come in Svizzera il plurilinguismo istituzionale si sia pian piano affermato come principio di Stato, portando così a un rafforzamento dell’italiano istituzionale: oggi, praticamente tutti i documenti ufficiali elvetici – quelli definitivi ma anche quelli provvisori e in discussione – sono ormai anche in lingua italiana.

A Leila Mebert e a Alessandro Sandrini rispondo che la questione dell’italiano insegnato nelle scuole svizzere è effettivamente interessante e meriterebbe una ricerca a sé. Vanno distinti naturalmente l’insegnamento dell’italiano nel Cantone Ticino, dove esso è lingua di scolarizzazione, e l’insegnamento dell’italiano negli altri cantoni, dove esso, benché lingua nazionale svizzera, è per molti lingua seconda o lingua straniera. All’Università di Basilea, sul tema, sono in corso due dottorati, che, analizzando i manuali per l’insegnamento dell’italiano L2 o LS, si interrogano proprio sulla varietà di lingua che viene utilizzata e insegnata: siamo nel neostandard o italiano dell’uso medio, o rimaniamo nell’italiano standard di impronta letteraria? L’analisi viene fatta da una parte prestando attenzione all’uso di forme linguistiche rivelatrici come i pronomi personali, il congiuntivo, il lessico ecc., dall’altra osservando quali sono le formule che vengono proposte quando si tratta di effettuare azioni pragmatiche come le richieste (domande o ordini) o altri atti illocutivi.

Con Marina Graham prenderò contatto personalmente, quando la ricerca sull’italiano istituzionale svizzero sarà cominciata. L’opinione di chi, in Svizzera, traduce verso l’italiano è senz’altro preziosa, così come è assolutamente doverosa una riflessione sui criteri sui quali si fonda la selezione delle traduttrici e dei traduttori della Confederazione. 

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Marina Graham
20 maggio 2020 - 00:00
Interessantissima ricerca! Da 30 anni sto seguendo questa evoluzione in qualità di traduttrice. Mi ricordo che 30 anni fa la Confederazione dava la "precedenza" ai traduttori ticinesi ("prima i nostri"), poi in mancanza di questi ultimi, ripiegava anche sugli italiani. Oggi, invece, con la globalizzazione, i ruoli si sono invertiti. I traduttori "puramente" ticinesi si contano sulle dita di una mano. I testi istituzionali di 30 anni fa erano infarciti di calchi (lessicali ma anche sintattici) in particolare presi in prestito dal francese. In pratica i francesismi all'epoca equivalevano agli anglismi di oggi. Per qualsiasi informazione o aiuto resto volentieri a disposizione.

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Leila Mebert
15 maggio 2020 - 00:00
Molto interessante. Da tener conto anche dell‘italiano che viene insegnato nei licei e portato alla maturita‘. Un italiano vecchio con parole desuete ed espressioni che in Italia non si usano piu‘ o solo in certi ambiti.

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Risposta
Alessandro Sandrini
21 maggio 2020 - 00:00
Concordo pienamente con Leila. teniamo conto anche che l'italiano della vecchia emigrazione presente in svizzera è di per sé conservativo (come del resto in tutte le comunità italiane nel mondo) e non costituisce certo uno stimolo al per lo sviluppo linguistico dell'italiano. Nei licei svizzeri dove si insegna l'italiano spesso si utilizzano manuali di L2 e si propongono testi come quelli di Bassani che certo non rappresentano un italiano moderno. Un amico che ha frequentato anni fa a basilea un liceo cantonale con l'italiano, mi ha detto che il suo insegnante faceva leggere il Pasolini di una vita violenta. Mah...
Angela Ferrari

Commento di chiusura di Angela Ferrari

La ricerca sull’italiano istituzionale svizzero che comincerà quest’autunno ha, come avevo scritto, un obiettivo di carattere essenzialmente qualitativo: tenendo sullo sfondo una comparazione con l’italiano ufficiale d’Italia, con l’italiano scritto nelle sedi europee e con il tedesco e il francese elvetici, si cercherà di capire com’è questa particolare varietà linguistica, qual è la sua forza e quali le sue debolezze. A chi fosse interessato a conoscerne anche gli aspetti quantitativi – sono arrivate al mio indirizzo universitario domande in questo senso – consiglio il bel libro di Verio Pini intitolato Anche in italiano! 100 anni di lingua italiana nella cultura politica svizzera (Berna, Cancelleria federale svizzera, 2017). Si tratta di un volume che, seguendo la storia oramai più che centenaria del Segretariato di lingua italiana voluto dal Consiglio federale nel 1917 (ora Divisione italiana dei servizi linguistici centrali della Cancelleria federale), mostra come in Svizzera il plurilinguismo istituzionale si sia pian piano affermato come principio di Stato, portando così a un rafforzamento dell’italiano istituzionale: oggi, praticamente tutti i documenti ufficiali elvetici – quelli definitivi ma anche quelli provvisori e in discussione – sono ormai anche in lingua italiana.

A Leila Mebert e a Alessandro Sandrini rispondo che la questione dell’italiano insegnato nelle scuole svizzere è effettivamente interessante e meriterebbe una ricerca a sé. Vanno distinti naturalmente l’insegnamento dell’italiano nel Cantone Ticino, dove esso è lingua di scolarizzazione, e l’insegnamento dell’italiano negli altri cantoni, dove esso, benché lingua nazionale svizzera, è per molti lingua seconda o lingua straniera. All’Università di Basilea, sul tema, sono in corso due dottorati, che, analizzando i manuali per l’insegnamento dell’italiano L2 o LS, si interrogano proprio sulla varietà di lingua che viene utilizzata e insegnata: siamo nel neostandard o italiano dell’uso medio, o rimaniamo nell’italiano standard di impronta letteraria? L’analisi viene fatta da una parte prestando attenzione all’uso di forme linguistiche rivelatrici come i pronomi personali, il congiuntivo, il lessico ecc., dall’altra osservando quali sono le formule che vengono proposte quando si tratta di effettuare azioni pragmatiche come le richieste (domande o ordini) o altri atti illocutivi.

Con Marina Graham prenderò contatto personalmente, quando la ricerca sull’italiano istituzionale svizzero sarà cominciata. L’opinione di chi, in Svizzera, traduce verso l’italiano è senz’altro preziosa, così come è assolutamente doverosa una riflessione sui criteri sui quali si fonda la selezione delle traduttrici e dei traduttori della Confederazione. 

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