La vicepresidente Rita Librandi fa il punto sul tema dei neologismi.
Sui neologismi l’Accademia della Crusca è tornata in più occasioni, ma i fraintendimenti che continuano ad affiorare nelle pagine dei giornali, nelle discussioni in rete o nelle trasmissioni televisive ci inducono a riprendere ancora una volta l’argomento.
Cerchiamo, questa, volta, di ricostruire un po’ di storia, che forse ci aiuterà a chiarire meglio non solo che cosa siano i neologismi ma anche perché suscitino da sempre tante reazioni contrastanti. Cominciamo con il dire che il termine neologismo è un composto che si attesta in italiano nel XVIII secolo ed è formato da due componenti greche, il sostantivo lógos (‘parola’) preceduto dall’aggettivo néos (‘nuovo’). Che faccia la sua apparizione nel Settecento non è probabilmente un caso, sia perché molte furono le necessità in quel secolo di formare parole nuove per colmare vuoti in ambito filosofico e scientifico, sia perché tanti dei nuovi termini furono attinti dal francese; il che suscitò numerose reazioni negative. In realtà, ogni lingua si caratterizza per la necessità intrinseca di rinnovare costantemente il proprio lessico, formando parole per designare oggetti fino a quel momento ignoti, per denominare elementi di particolari scoperte scientifiche, per indicare concetti elaborati da una speculazione filosofica in continuo divenire, e così via; non mancano, d’altro canto, formazioni dovute all’estro di scrittori, cantanti, giornalisti, che talvolta riescono ad attecchire e che godono, ai nostri giorni, della complicità delle comunicazioni di massa. Nonostante si tratti, dunque, di un procedimento che è parte integrante della vita di ogni lingua, i neologismi sono spesso guardati con sospetto e con il timore che la lingua stia subendo un’aggressione e una contaminazione che la snaturerà. Si tratta di una diffidenza antica, di cui si trova traccia fin dagli autori dall’età classica, ma che probabilmente è andata crescendo, negli ultimi tempi, a causa della rapidità con cui alcune parole ed espressioni ripetute solo per moda (spesso in maniera impropria e in modo irriflesso) invadono l’italiano, contribuendo all’incremento della cosiddetta “lingua di plastica” (Ornella Castellani Pollidori, La lingua di plastica. Vezzi e malvezzi dell’italiano, Napoli, Morano 1995). In buona parte dei casi, tuttavia, il timore è alimentato soprattutto dalle parole nuove che entrano attraverso altre lingue, come confermano le critiche già ricordate contro il gran numero di francesismi regolarmente penetrati nella nostra lingua almeno fino ai primi del Novecento. La comune origine di italiano e francese, d’altro canto, ha reso possibile il pieno amalgama di tanti prestiti giunti dalla Francia, che da tempo non sono più percepiti come elementi estranei; lo stesso, però, non può accadere con gli anglismi, che suscitano, anche per questo motivo, le reazioni più accese. Si dovrebbe in realtà distinguere tra le mode che si diffondono supinamente tra i parlanti e che spesso non hanno vita duratura, e le situazioni che, al contrario, possono realmente mettere a rischio alcuni settori della lingua, soprattutto quelli tecnico-scientifici. Non è su questi aspetti, tuttavia, che vogliamo, per il momento, soffermarci, bensì su ciò che decide della nascita e della permanenza dei neologismi.
Non sono poche le parole nuove che, pur godendo di un rapido e improvviso successo, dopo poco scompaiono nel nulla; quand’è, dunque, che possiamo dirle a tutti gli effetti parole del nostro lessico? Molti ritengono che proprio l’Accademia della Crusca abbia l’autorità di scegliere quali parole possano essere accolte nei dizionari, ma, come ogni linguista sa, è solo l’uso che la comunità linguistica mostrerà di farne per un significativo lasso di tempo che sancisce l’immissione di una parola o di un’espressione nella lingua. Che cosa invece può fare l’Accademia della Crusca? Può sicuramente esprimere il proprio parere sulla correttezza o meno di una neoformazione, sulla sua rispondenza, cioè, alle regole che governano la formazione delle parole in italiano e che qui non è possibile riassumere brevemente. Diciamo solo, per fare un rapido esempio, che nella gran parte dei casi le parole nuove si ottengono in italiano modificando parole già esistenti, soprattutto con l’aggiunta di prefissi o suffissi (in-capiente, sovran-ismo o, con l’aggiunta simultanea di prefisso e desinenza, im-piatt-are ecc.). Alcuni suffissi, in particolare, si specializzano nella formazione di sostantivi (berluscon-ismo, ecolog-ista ecc.) e aggettivi (veltroni-ano, argill-oso ecc.) o anche nella derivazione da un solo tipo di base: il suffisso -oso, per esempio, può formare aggettivi solo partendo da un nome e mai da un verbo o da un altro aggettivo (sono impossibili, quindi, formazioni come *dormoso o *faciloso). È ciò che è avvenuto qualche anno fa con petaloso; quando il servizio di consulenza dell’Accademia, interpellato sulla possibilità di adottare questa parola, rispose che l’aggettivo era ben costruito, in quanto rispondeva alle regole di formazione delle parole dell’italiano, ma che ciò non bastava a farla ammettere nel nostro vocabolario. Nonostante ciò, i giornali, sintetizzando in modo un po’ sommario la risposta e inserendo titoli ambigui, finalizzati a catturare l’attenzione, hanno avvalorato convinzioni inesatte, che, come ha sottolineato l’accademico Marco Biffi in un articolo del 2021, sono alimentati ciclicamente dai titoli ad effetto. Ancora qualche settimana fa (il 23 agosto 2024) è andata in onda, su Canale 5, la replica di un gioco a quiz (già trasmesso tra il 2018 e il 2019), durante la quale si sosteneva che l’aggettivo cioccolatoso non era stato ammesso dalla Crusca e ci si interrogava sul motivo di questa esclusione, visto che petaloso era stato invece autorizzato. Nonostante le tante spiegazioni fornite dall’Accademia su permanenza o meno dei neologismi, nessuno ha pensato di correggere la svista della vecchia trasmissione né di verificare la correttezza delle informazioni fornite al concorrente. È molto probabile, infatti, che il presunto rifiuto di cioccolatoso sia stato dedotto dalla sua assenza nella sezione del sito della Crusca destinata ai neologismi, assenza più che legittima, dato che cioccolatoso è registrato da tempo nei dizionari Zingarelli e Devoto-Oli, che danno come data di prima attestazione il 1923. Quanto a petaloso, l’unico dizionario che lo ha voluto registrare è il Sabatini-Coletti nell’ultima edizione (2024), proprio perché di quest’aggettivo (datato 1991, prima dunque della sua “esplosione mediatica”) si continua tuttora a parlare.
L’equivoco permane a causa di un vuoto di conoscenza sul funzionamento delle lingue che la Crusca cerca stabilmente di colmare. Ciò che l’Accademia deve fare, infatti, è studiare i neologismi, la loro provenienza, le variazioni nei meccanismi di formazione, la loro capacità di acclimatarsi o le cause della loro vita effimera. Un modo diverso di studiare le neoformazioni è nato soprattutto agli inizi del Novecento con il Dizionario moderno redatto dallo scrittore, critico e giornalista Alfredo Panzini, il cui lavoro ebbe a partire dal 1905 sette edizioni, oltre a un’ottava che, curata da Bruno Migliorini e Alfredo Schiaffini, fu pubblicata nel 1942 dopo la sua morte. Da allora gli studiosi di linguistica italiana hanno fatto molti passi avanti nella ricerca sui neologismi, come testimoniano, in particolare, gli importanti lavori di Valeria Della Valle e del compianto Giovanni Adamo, che nel 1998 hanno anche costituito l’ONLI (Osservatorio neologico della lingua italiana). L’Accademia della Crusca offre, nella sezione “Parole nuove” del suo sito, lo studio e la descrizione di parole selezionate sulla base di un esame dei mezzi di comunicazione, con l’obiettivo di "fornire uno strumento di informazione completa e corretta" su parole che si possono ascoltare o leggere ma che non sempre hanno trovato (e forse non troveranno) una trattazione adeguata negli strumenti lessicografici.
Studiare in modo rigoroso e scientifico l’avvicendarsi delle parole può darci informazioni preziose sui cambiamenti storici e sociali di un paese o sui motivi culturali che determinano accoglienze ed esclusioni. La divulgazione sensazionalistica, al contrario, rischia sempre di diffondere errori o alimentare luoghi comuni, bloccando ogni possibile crescita della conoscenza.
L'Accademico Vittorio Coletti invita a riflettere e discutere su due tendenze dell'italiano contemporaneo.
La vicepresidente Rita Librandi fa il punto sul tema dei neologismi.
Il Consiglio direttivo dell'Accademia (Paolo D'Achille, Rita Librandi, Annalisa Nesi, Federigo Bambi, Rosario Coluccia), riprendendo la questione del genere nella lingua, più volte e sotto vari aspetti affrontata dalla Crusca, propone come Tema di discussione una riflessione e alcune indicazioni per un uso non discriminatorio della lingua.
Riprendiamo il tema del dialetto, già affrontato in altri temi del mese, trattando questa volta della sua recente ripresa nei media e in particolare nella televisione.
Evento di Crusca
Collaborazione di Crusca
Evento esterno
Durante il periodo natalizio gli uffici dell'Accademia resteranno chiusi il 24 e il 31 dicembre.
L'Archivio e la Biblioteca resteranno chiusi dal 24 al 31 dicembre compresi.
Per concomitanza con le Feste, la visita all'Accademia della Crusca dell'ultima domenica del mese di dicembre è stata spostata al 12 gennaio 2025 (ore 11).
Commento di chiusura di Rita Librandi
Ringrazio, come sempre, tutti coloro che sono intervenuti, anche chi, come Luca Fiocchi Nicolai, sebbene spesso critico verso alcune delle nostre affermazioni, ci dedica un’attenzione di tale costanza da confermare un interesse altissimo o, potremmo dire, un’affezione per il dibattito animato dall’Accademia. Ringrazio in modo particolare Francesco Fabbrini per le parole gentili e incoraggianti e Licia Corbolante per aver fornito interessanti suggerimenti bibliografici e averci dato indicazioni opportune, di cui terremo conto, circa il modo di presentare le risposte ai quesiti linguistici. Licia Corbolante, peraltro, ha già in gran parte risposto alle osservazioni di Luigino Goffi sul confronto tra fonetica inglese e italiana: ribadisco, infatti, con lei che ogni confronto estetico tra lingue diverse può essere solo frutto di una percezione personale e non di verità oggettive. Per quando riguarda, d’altro canto, l’aspetto fonetico della nostra lingua, non c’è dubbio che nel passaggio dal latino all’italiano ci sia stata una semplificazione di molti nessi consonantici, anche se ciò non ha riguardato tutti i volgari della penisola; basterà pensare, per esempio, alle aree settentrionali, dove la caduta di vocali atone ha prodotto incontri consonantici sconosciuti alla fonetica dell’italiano. Non si è trattato, però, come sembrano sottintendere le parole di Goffi (“l’italiano ha scelto di essere...”), di una scelta consapevole compiuta in un determinato momento storico dalla comunità linguistica italiana, ma di un cammino lungo, lento e complesso. Certo l’aspetto fonetico può contribuire all’accoglienza o meno di parole nuove, ma non è la sola causa né sicuramente la più rilevante; è importante, al contrario, la permanenza duratura di un neologismo, che solo così potrà essere usato e avvertito come parola stabile della nostra lingua.
Nonostante abbia detto con chiarezza nel tema sui neologismi che non intendevo soffermarmi sulle parole nuove frutto di prestiti linguistici, la maggioranza degli interventi ha riguardato proprio questo aspetto, confermando che è proprio la penetrazione dei forestierismi a suscitare le reazioni più accese. Cercherò di rispondere all’insieme delle osservazioni, senza entrare nel merito dei singoli esempi addotti dai nostri lettori. Certamente non si può negare che nella lingua dei media, nelle parole dei politici e nella comunicazione di amministratori e responsabili di servizi pubblici si ascoltino molti anglismi superflui, poco trasparenti e spesso usati maldestramente; non si può neppure dire, tuttavia, che l’Accademia della Crusca non abbia espresso e non continui a esprimere il suo dissenso nei confronti di alcuni comportamenti. Mi limiterò a ricordare quanto è stato fatto (peraltro con successo) contro l’uso esclusivo dell’inglese nei corsi di laurea o quanto costantemente si fa con il gruppo “Incipit”, che cerca di intercettare i forestierismi e di suggerire efficaci equivalenti italiani (https://accademiadellacrusca.it/it/contenuti/gruppo-incipit/251), come è stato sottolineato tempo fa anche dal presidente onorario Claudio Marazzini in un tema del mese intitolato Perché è utile tradurre gli anglismi (https://accademiadellacrusca.it/it/contenuti/perch--utile-tradurre-gli-anglismi/12305). Nonostante ciò, si imputa alla Crusca una sorta di lassismo accondiscendente e le si chiede di essere prescrittiva. Bisognerebbe, però, capire che cosa si intenda per prescrittivo, perché è evidente che il linguista guarda (e non può non guardare) in modo diverso, “scientifico”, al funzionamento delle lingue; mette in discussione, per esempio, la tradizionale differenziazione tra prestiti di necessità e prestiti di lusso, mentre distingue tra termini che si dissolvono velocemente e altri che occupano con più forza il lessico della lingua d’arrivo, tra usi che si dimostrano indispensabili e altri che mettono effettivamente a rischio la terminologia di alcuni settori o che rendono assai poco trasparenti i testi destinati a un ampio pubblico. Tutte le volte in cui la Crusca ritiene necessario intervenire su usi ritenuti a rischio lo fa senza esitazioni, ma non può farlo senza un’adeguata e preventiva valutazione. Se poi per prescrivere si intende imporre qualcosa per via di legge e attraverso sanzioni, non si può non ricordare (al di là di un potere giuridico che la Crusca non possiede) che nessuna legge, neppure in epoche passate, è mai riuscita a imporsi sul potere della comunità linguistica o, se vogliamo scomodare un grande autore, sull’uso che Manzoni definiva “somma dei consensi” di una società.
Andrebbe anche vista in modo più corretto e realistico l’azione svolta dall’Académie française e dalla Real Academia de España, di cui si parla spesso solo per sentito dire. Le situazioni analoghe in cui si trovano gli accademici francesi e spagnoli, con cui peraltro intratteniamo ottimi rapporti, sono veramente tante e anche qui mi limito per brevità, a ricordare soltanto che, nonostante le attenzioni poste alla penetrazione degli anglismi, in Francia si ricorre spesso al termine come franglais (adoperato inizialmente per indicare le interferenze linguistiche di alcune aree) per segnalare sempre più frequentemente l’eccesso di anglismi nel francese. Molti equivoci si creano anche intorno alla cosiddetta legge Toubon, che si ritiene abbia vietato in Francia l’uso di parole straniere. La legge proposta da Jacques Toubon, ministro della Cultura durante gli anni del governo di Édouard Balladur, mirava a proibire l’uso di forestierismi anche nella pubblicità e nei programmi televisivi, ma il Consiglio Costituzionale ritenne che ciò fosse contrario ai principi della Costituzione francese. Alcuni articoli, pertanto, furono cancellati e la legge, adottata nell’agosto del 1994, non proibisce l’uso di parole straniere, ma garantisce il giusto diritto dei cittadini a usare il francese sul lavoro, nell’istruzione e nella comunicazione pubblica. Su queste tematiche e, ingenerale, sulla questione della norma linguistica l’Accademia della Crusca organizzerà, nei primi mesi del 2025, una tavola rotonda con la presenza di studiosi francesi e spagnoli, a riprova del fatto che si tratta di problemi comuni, da affrontare insieme e con adeguata ponderazione.
Mi permetto di aggiungere, però, un aspetto che viene sempre assai poco considerato e che meriterebbe invece la massima attenzione. Se c’è un motivo per cui l’Italia dovrebbe imitare l’esempio di Francia, Spagna e Germania è il grande sostegno dato dai governi di questi paesi alla diffusione delle loro lingue all’estero. L’italiano continua a essere amato e studiato oltre i confini della penisola, ma non sono poche le contrazioni delle cattedre di italiano nelle università e nelle scuole straniere che, nonostante gli appelli lanciati dall’Accademia e da altre Istituzioni, non trovano risposta negli interventi dei nostri governi. Ci sono certo iniziative importanti come la Settimana della lingua italiana nel mondo, nata da un’idea dell’allora presidente della Crusca Francesco Sabatini e gestita dal Ministero degli Esteri, ma non si vede alcun progetto politico in grado di agire con efficacia. L’espansione dello studio dell’italiano all’estero avrebbe anche positive ricadute economiche per il nostro paese, come ben sanno, in particolare, Francia e Germania. La questione richiederebbe di essere trattata più ampiamente e dunque non mi dilungo oltre, sperando tuttavia di aver suscitato una prima riflessione su ciò che sarebbe veramente giusto imitare.
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