In occasione della presentazione di quattro nuove pale avvenuta durante la Tornata di venerdì 24 gennaio 2020, il presidente dell'Accademia Claudio Marazzini racconta ai lettori qualcosa della tradizionale iconografia della Crusca.
Gennaio 2020
L’ambiente di maggior fascino, per coloro che visitano ai tempi nostri la Villa medicea di Castello, sede attuale dell’Accademia della Crusca, è la Sala delle Pale: si tratta di una grande sala rettangolare al piano terreno del palazzo, ancora oggi utilizzata per le riunioni del Collegio accademico. Alle pareti sono appese 152 “pale” antiche: erano gli stemmi personali dei membri cinque-settecenteschi dell’Accademia. Ogni pala lignea è dipinta, e porta in un cartiglio il nome accademico, sovrastato da un’immagine simbolica e da un motto; il tutto costituisce l’“impresa”. I motti sono tratti generalmente dalla Commedia di Dante e soprattutto dal Canzoniere di Petrarca. La “pala” dipinta ha forma identica a quella delle pale destinate a raccogliere il grano e la farina: infatti tutta la simbologia accademica gravitava attorno a questi elementi, la farina, la crusca, il pane. Non a caso il motto della Crusca era ed è “il più bel fior ne coglie”, dove il fiore è appunto il fiore della farina, la parte migliore, laddove la crusca è lo scarto. Questa metafora va applicata alla lingua, nella quale gli accademici si proponevano di compiere analoga selezione qualitativa. Il simbolo dell’accademia era il frullone o buratto, cioè la macchina secentesca che separava meccanicamente crusca e farina. La suppellettile tradizionale dell’Accademia si componeva di “gerle”, trasformate in sedie accademiche da cerimonia (le prime sono databili al 1642), realizzate con una sporta da pane rovesciata, con infilata una pala che fungeva da schienale. I “sacchi”, infine, erano mobiletti a forma di sacco dotati di uno sportello anteriore: all’interno si conservava una metaforica “farina”, cioè gli statuti, i regolamenti e altre scritture.
Nell’Ottocento e nella prima metà del Novecento la tradizione delle pale si è interrotta, trasformandosi in un bel ricordo, che ha dato luogo a una collezione tipicamente museale, intesa come documento del passato. Spesso le antiche pale sono state esposte in mostre importanti (anche agli Uffizi) e hanno richiamato l’interesse degli studiosi d’arte, per la qualità pittorica, per i soggetti, per il legame con i personaggi che le avevano fatte dipingere. Non tutte le pale sono giunte a noi: quella di Galileo, per esempio, di cui conosciamo il bozzetto grazie a un disegno, non è attualmente posseduta dall’Accademia, e non sappiamo se sia sopravvissuta alla vicissitudini della storia. Però nel secondo Novecento si è avuta una timida ripresa dell’antica tradizione, e con maggior vigore la ripresa si sta manifestando nel nuovo millennio. Venerdì 24 gennaio, nella prima tornata accademica del 2020, sono state presentate ben quattro nuove pale “moderne”, che si aggiungono alle precedenti, tra le quali le due dei presidenti emeriti Francesco Sabatini e Nicoletta Maraschio, già da tempo collocate sulle pareti della prima stanza al piano terreno della villa, sul percorso che conduce alla sala delle pale “antiche”.
Abbiamo qui il piacere di presentare ai lettori queste quattro pale, così come sono state illustrate agli Accademici il giorno 24 gennaio (nella mattinata erano stati illustrati i lavori di restauro per la buona conservazione delle pale antiche, con interventi della dott.ssa Lia Brunori (Funzionaria della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per la Città metropolitana di Firenze e le province di Pistoia e Prato) e della restauratrice Chiara Mignani.
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